Da dieci ore non vedeva più un volto, non aveva più un contatto umano, non poteva apprezzare colori diversi dal grigio smorto e dal bianco delle pareti della cella. Poteva soltanto immergersi nel buio, con la testa fra le mani, fissando in basso, non lo sporco pavimento, perché quel buio, quel "casino" in cui si era infilato non sembrava aver soluzione. E l'unica, fino a poco fa inaccettabile, che gli si proponeva, guadagnava così sempre più consenso, anche perché lui da quella cella, da quell'incubo voleva uscirci, anche se la porta l'avesse immesso in un baratro. Decise lì, sul momento, che avrebbe parlato al poliziotto, avrebbe accettato le sue condizioni pur di uscire dal carcere, e poi ,anche se se ne fosse pentito, si sarebbe pentito da uomo libero anche se gabbato, invece che da baluardo incarcerato, fine a sé stesso, forse più gabbato che se avesse accettato le condizioni. Quando gli fu quindi portato il rancio serale, chiese al secondino di poter vedere nuovamente "quel tizio che si era presentato la mattina", e il giorno dopo fu accontentato. Quel poliziotto però, era davvero feccia. Delle peggiori. Si presentò alle sei e mezza del mattino, e sfondò le palpebre ancora chiuse di Glen con una torcia da minatore. Glen, instintivamente, si voltò dall'altro lato, ma ormai il suo sonno era crollato, demolito da una torcia. Si voltò, piombando pesantemente giù dal letto. Rotolò per un metro circa, quindi si sollevò e fissò l'uomo. Quel volto consumato, stropicciato intorno alle labbra e agli occhi, neri e cattivi, dalla vecchiaia, che ne aveva consumato anche i denti, scintillanti ora, nel suo tondo sorriso sadico. Odorava di vecchio, ma di vecchio cattivo, sadico, bastardo com'era lui. Se forse non avesse ghignato così forte, se non l'avesse abbagliato per il puro gusto di vederlo soffrire, se avesse almeno mimato un volto di circostanza, Glen avrebbe confessato, sicuro. Ma di fronte a quello lì no, mai avrebbe ceduto, avrebbe preferito soffrire lui invece che far felice quel bastardo, perire lui la fame invece che quel bastardo potesse gozzovigliare delle bustarelle di Cecchi Gori.
"Finalmente abbiam capito chi è il più forte..."
Finalmente abbiam capito chi è il più forte...spocchioso, chissà quali mire di rivincita puntava sulla confessione forzata di Glen, sta di fatto che quella rivincita non gliel' avrebbe mai concessa
"Esattamente..."
"E bravo il giovanotto. Sai com'è...la legge del più forte, quella che ti sto dando è una lezione di vita..."
Glen guardò sottomesso a terra, il poliziotto sferragliò le chiavi nella serratura e aprì le porte della cella a Glen. L'uomo condusse Quagmire per i corridoi principali, quindi gli intimò di sedersi e attendere in sala d'attesa. Ma Glen, sempre guardando fisso al pavimento, non obbedì ed avanzò venso il portone principale, lo spalancò ed uscì dal Penitenziario. L'assurdità della scena fu tale che l'uomo rimase impalato, a fissare la pazzia, la pura follia di Glen. Che però aveva sbagliato i conti. All'entrata stazionavano infatti due guardie, che non esitarono ad afferrarlo e a riportarlo dentro. Il poliziotto stavolta però non sghignazzò e non proferì parola, rimase immobile a scrutare quella fonte di tanti guai, che quasi preferiva la sofferenza propria piuttosto che la sua soddisfazione.