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Quando una salita al 7% faceva la differenza :105:

Certo che quella dei frustini sarebbe un'ottima soluzione per gli imbecilli che spingono i corridori o gli corrono di fianco per centinaia di metri :woohoo:

No, i frustini sarebbero un'ottima soluzione per far muovere il culo ai corridori :mrgreen:

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GIRO DEL 1909: UN GIRO NEL GIRO PER I GIORNALISTI

Quinta puntata della storia del primo Giro d’Italia. All’epoca portare a termine le tappe non era un’impresa solo per i corridori, ma anche per i giornalisti. L’auto che li trasporta - un’Itala gemella della vettura che, due anni prima, aveva portato per prima a termine il mitico raid Pechino-Parigi – è costretta ad interminabili inseguimenti al gruppo, dopo essersi fermata per le “soste telegrafiche”. Quel 20 maggio si arriva a Roma, a capo d’una tappa che si deciderà sui sampietrini dell’antica Via Casilina: taglierà per primo il traguardo il futuro vincitore della corsa rosa, Luigi Ganna.

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Non è una delle tappe più impegnative, ma la frazione che il 20 maggio prende il via da Napoli è certamente una delle più attese. In capo a 228 Km si arriva a Roma, la “Città Eterna” che da una quarantina d’anni ha perso lo status di capitale dello Stato Pontificio per assurgere al medesimo ruolo per l’Italia intera, unita da Garibaldi e dai Savoia prima e dalle tappe della corsa rosa poi. Per un curioso scherzo del destino, d’origine nizzarda sono sia l’Eroe dei due mondi, sia il primo disegnatore del Giro, Armando Cougnet.

Non ci sono grosse difficoltà quest’oggi, a parte qualche saliscendi a mezza via e le polverose strade campane già caratterizzanti il finale della tappa precedente. Si ripassa per Caserta, poi si toccano Cassino, Frosinone e Valmontone.

La partenza è piuttosto “colorita”, ma non per le intemperanze dei tifosi meridionali, temuti dagli organizzatori dopo quanto successo con i felsinei. Invece, a movimentare le operazioni d’avvio ci si mette d’impegno Giuseppe Brambilla, infuriato per essere stato messo fuori corsa dopo che si era scoperta la sua partecipazione fattiva al “caso doping” della frazione di Chieti. A dire il vero il varesino correva già fuori gara, poichè ritiratosi a seguito di una caduta avvenuta – giustizia divina! - proprio in quella frazione, subito dopo l’”imperdibile” punto di controllo di Grottammare. Ma un conto è esser fuori per una “ferita di guerra”, un altro è passare per traditore. Il Brambilla si presenta minaccioso al raduno, protesta per ottenere giustizia e brandisce una bottiglia che vorrebbe fracassare sulla testa del meccanico che l’ha scoperto e denunciato alla giuria. A questo punto gli organizzatori invocano l’aiuto della Pubblica Sicurezza, che “sequestra” letteralmente il Brambilla fino alle 7.15, ora di partenza della quarta frazione, che prende le mosse senza ulteriori imprevisti.

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Bastano le prime centinaia di metri per vedere i primi ciclisti staccarsi, mentre attacca deciso in testa alla corsa l’indomito Gerbi. I saliscendi del casertano provocano sparpaglio nel gruppo, frammentato in tanti piccoli scaglioni. Le sconnessioni del fondo causano urti e conseguenti cadute. È difficile farsi un’idea della corsa, a causa del polverone sollevatosi dalle strade. Usciti dal tratto più nervoso il gruppo di testa si ricompone, forte di una decina di uomini. A Cassino l’Itala che trasporta i giornalisti fa sosta per permettere ai viaggiatori di telegrafare gli aggiornamenti alle relative redazioni. Il loro lavoro, in queste condizioni, è ostico al pari di quello dei corridori. Non esiste “radio corsa”, telefonini e televisione sono ancora da inventare, reperire le informazioni è un’impresa. Dopo lo scalo “tecnico” l’Itala deve impegnarsi in una corsa nella corsa per riportarsi in testa, su strade spesso al limite della praticabilità. Prima di completare l’inseguimento sono raggiunti e superati i corridori che nel frattempo si sono staccati, mentre gli occupanti della vettura scribacchiano veloci i loro nomi sugli impolverati taccuini, per farsi trovare pronti alla prossima visita all’ufficio telegrafico.

Non si capisce se l’autista viaggi spericolatamente o se è il gruppo a pedalare a tutta, nonostante riprendano i saliscendi verso Frosinone. Fatto sta che l’inseguito alla muta scatenata dei girini dura complessivamente 100 Km, iniziato a Cassino e terminato al rifornimento di Valmontone, dove l’Itala si riporta davanti al gruppo di testa, ridottosi a sei unità: Ganna, Oriani, Gerbi, Rossignoli, Canepari e Celli. In quel lasso di strada ne sono successe di cose: Chiodi che tenta una fuga dopo essere rimasto “nuovamente vittima dei suoi omonimi” (così “Magno” edulcorò l’inconveniente di una foratura causata da… chiodi), il gruppo che attacca Trousselier dopo una foratura del francese, Galletti che è costretto a metter piede a terra sulla salita di Ferentino, lo iellato Trousselier che sputa bestemmie di fuoco dopo l’ennesimo stop.

Lo stato delle strade, migliorato nettamente dopo l’ingresso in Lazio, torna a peggiorare con l’approssimarsi della capitale. La Via Casilina presenta lo stesso fondo che fu messo in opera secoli prima dai romani, col selciato costituito da piccole pietre quadrate, piazzate l’una vicina alle altre (sempre che non abbiano preso il volo, aprendo sul fondo larghe buche). A complicare la situazione è il verso nel quale è affrontata la strada, in discesa verso la Città Eterna. Laggiù sullo sfondo, un piccolo punto s’allarga col passare dei chilometri, lasciando intendere d’esser il cupolone di San Pietro.

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Il Giro piomba in Roma in un giorno feriale, si corre di giovedì, ma ciò non costituisce un grosso problema, poiché l’automobile è un lusso di pochi e la capitale non è ancora strangolata dal traffico. C’è comunque grande agitazione perché non è attesa solo la corsa rosa, ma anche l’arrivo di centinaia di pellegrini provenenti dalla Spagna e dalla Cecoslovacchia, diretti in Vaticano dove proprio quel giorno Sua Santità Pio X presiederà la solenne cerimonia di canonizzazione dei sacerdoti Giuseppe Oriol Boguna e Clemente Maria Hofbauer.

Agitata è anche la folla, ventimila tifosi che la Pubblica Sicurezza non riesce a contenere. Cougnet non ha la finezza di Costamagna e non edulcora i suoi giornalieri commenti sulla rosea: nei suoi scritti tratteggerà la folla senza mezzi termini, definendola “collettivamente stupida”.

La corsa si avvicina all’epilogo. Il gruppo si seleziona ancora di più e davanti rimangono in due, Ganna ed il dilettante Oriani. Dietro insegue Canepari, sul quale si riporta Rossignoli a capo d’un poderoso inseguimento.

Mentre Rossignoli riesce a staccare il compagno d’avventura, per il duetto di testa la situazione non cambia fin sul traguardo, dove Ganna vince facilmente, conquistando il secondo successo di prestigio della stagione, a due mesi dalla vittoria nella Milano – Sanremo. Prima Via Roma e poi Roma, il suo destino sembra d’esser quello di vincere in luoghi dai nomi che contano. A gioia si aggiunge gioia, poiché il campione varesino ritorna ad issarsi in vetta alla classifica.

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23 MAGGIO 1909: LA PRIMA “DOMENICA DEL GIRO”

Prima edizione della corsa rosa, sesto capitolo. È il 23 maggio, una domenica, giorno d’uscita del supplemento del “Corriere della Sera”. Per la prima volta il Giro entra fisicamente nelle case degli italiani, mentre ci si appresta ad affrontare una lunga e snervante tappa. I grandi protagonisti del giorno saranno gli stessi della frazione precedente, Ganna e Trousselier. Il primo ottiene uno strepitoso bis (ancor più clamoroso a causa d’una foratura che lo coglie proprio nei chilometri finali), il francese è ancora protagonista in negativo, bersagliato com’è dagli incidenti meccanici.

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Il 23 maggio 1909 è una domenica. È giorno di festa e riposo dopo una dura settimana di lavoro. Chi può permetterselo si svaga andando a fare qualche scampagnata fuori porta. Chi non può cerca dei “surrogati” che gli permettano di estraniarsi dai problemi di tutti i giorni e di viaggiare con la fantasia: in mancanza di TV e “playstation” il principale quotidiano d’Italia propone, al popolare prezzo di 10 centesimi (questo il costo della prima uscita, avvenuta nel 1899), il settimanale “La Domenica del Corriere”. È una pubblicazione atipica, che fa informazione puntando più sulle immagini che sulle notizie scritte. L’italiano guarda e sogna…. e dove non può sognare perché manca la foto - ecco l’idea geniale degli editori – interviene il racconto “pittorico” dei fatti. L’incarico è affidato ad un giovane illustratore ancora sconosciuto, Achille Beltrame. Allievo del grande pittore Francesco Hayez, massimo esponente del romanticismo storico, ogni settimana il Beltrame fa arrivare fin nelle più sperdute case dello stivale italico la narrazione dei principali avvenimenti, sia essi fossero di politica, cronaca o sport. È una versione moderna e mondana della “Biblia pauperum”, com’era definito l’impianto iconografico delle antiche chiese, che istruiva sulle vicende cristiane il volgo povero ed analfabeta.

Quel 23 maggio il Beltrame tratteggia per la prima volta il Giro d’Italia, che così fa subito il suo ingresso nelle case e nelle menti degli italiani. La sua opera è una delle principali, occhieggia in ultima di copertina: si vedono i primi “girini” percorrere di notte una via di una non precisata città, tra due ali di folla entusiasta e trattenuta da gendarmi agghindati di tutto punto. È bello pensare che, altre immagini simili, abbiano negli anni successivi inculcato la voglia di emulare le gesta di questi pionieri a tanti giovani ragazzi, come il piccolo Ottavio (15 anni aveva Bottecchia in quel 1909) o l’Alfredo, il Fausto, il Gino.

Quando esce il ventunesimo numero dell’annata 1909 il Giro è Roma, pronto a salpare alla volta di Firenze. La tappa che unisce la “città eterna” all’ex capitale è molto impegnativa per chilometraggio (346 Km) ed altimetria, che alterna tratti pianeggianti ad altri estremamente vallonati. Il percorso tocca Civita Castellana, entra in Umbria per visitare Narni ed il capoluogo Perugia e poi lambisce il Lago Trasimeno prima d’entrare in Toscana, andando quindi a Firenze per Arezzo.

Come già successo nella tappa precedente, bastano i primi chilometri a provocare una prima selezione nel gruppo. A Rignano Flaminio, poco meno di 40 Km dalla partenza, la testa della corsa si è già ridotta ad una cinquantina di unità, che comunque faticano a procedere a causa dei saliscendi e del fondo stradale. Così alcuni degli staccati riescono a riagganciare il gruppo al comando, impegnandosi in piccole volate sullo sterrato…. salvo poi staccarsi nuovamente dopo poco, per lo sforzo compiuto.

Comincia la tiritera delle forature; per il momento, ma il suo infelice primato è destinato quest’oggi ad essere battuto, il più iellato è Carlo Oriani che fora, ripara, rimonta in bici e torna a forare dopo aver percorso nemmeno cinquanta metri.

La frazione non sembra comunque proporre la selezione sperata dagli organizzatori, complice la difficoltà a procedere: al passaggio da Narni, dove è previsto il primo punto di rifornimento, il gruppo di testa è composto, segnala Cougnet, “di ben 15 corridori”, mentre “un secondo gruppo di 7 corridori gli stava rabbiosamente alle calcagna”. Il fortissimo dilettante piemontese Vincenzo Borgarello, sofferente per una contusione alla gamba, approfitta della locale stazione per chiudere qui il suo Giro e tornarsene alla natia Cambiano.

La corsa procede monotona, ravvivata solo dagli incidenti meccanici. Nessuno vuol tentare la fortuna, nonostante il percorso proponga ora le salite verso Todi e Perugia, dove una gran folla plaude al passaggio dei corridori dalle terrazze dei giardini pubblici.

Addirittura Gerbi trova il tempo per elargire sorrisi e raccontare barzellette, forse nel tentativo di mascherare la delusione di una corsa per lui tutta in salita, fin dalla tappa inaugurale.

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Avvicinandosi alle rive del Trasimeno riesce leggermente ad isolarsi in testa alla corsa Giovanni Rossignoli: il vincitore della tappa di Napoli transita per Passignano con un margine di 200 metri su Ganna e l’accanito resto del gruppo, che ora inizia a scaldarsi.

Comincia a compiersi il dramma del francese Trousselier, dopo le sfortune già patite andando verso Roma: prima una foratura e poi un’altra ancora, mentre un simil incidente accade anche al fido compagno di squadra Pottier, che aveva il compito di aiutarlo a riavvicinare la testa della corsa. È il “trio della sfortuna”, perché assieme ai due procede il citato Oriani.

Ad un certo punto il Dio dei corridori s’infuria e si vendica: dalle parti di Arezzo, un erpice ha perduto un grosso chiodo, sul quale si trova a passare la “Zust” di Costamagna, costretta ad una sosta imprevista per riparare il danno riportato dal pneumatico.

“Le miserie di Monsù Trousselier” non sono ancora finite: dopo una sosta ad Arezzo per riparare l’ennesima foratura, il francese riparte per incappare poco più avanti in un ben più grave danno, un guasto al mozzo della ruota posteriore, la cui riparazione lo impegnerà per molto tempo.

Il momento è difficile anche per Gerbi che si stacca a seguito delle accelerazioni in testa alla corsa. Corre con due fasciature alle ginocchia e avverte forti dolori alle congiunture. Con lui marcia anche Lampaggi che, pur non essendo suo compagno di formazione, decide di fermarsi per attenderlo ma, non vedendolo sopraggiungere, opterà poi per proseguire da solo. Queste traversie non minano l’affetto per l’astigiano: è ancora il corridore più acclamato dai tifosi, che continuano imperterriti ad osannarlo, arrivando pure a fermare l’Itala di Cougnet per chiedere informazioni sul loro beniamino.

Percorrendo le strade del Valdarno, ad una sessantina di chilometri dalla conclusione la corsa comincia a delinearsi. Ganna lascia nuovamente il passo al temuto Rossignoli, ritenuto dai giornalisti una ”spada di Damocle” per tutti i pretendenti al successo finale. Dietro inseguono Corlaita, i due Azzini, Galetti e Chiodi. Dopo Figline, ultimo rifornimento, su questo gruppetto si porta Sala, mentre Chiodi evade e va ad aggiungersi ai due di testa.

Firenze si avvicina e gli ultimi 20 Km sono presidiati dai volontari preposti dal comitato locale, armati di tutto punto (fucili compresi). Ci sono anche i pompieri: dopo i disagi patiti nelle tappe iniziali, si tratta dell’organizzazione d’arrivo migliore, più vasta e completa, vista finora.

Nella girandola di forature è coinvolto anche Ganna, appiedato ad una decina di chilometri dalla conclusione. Gli avversari avvertono il momento di difficoltà del capoclassifica ed agiscono di conseguenza, aumentando la velocità. Davanti premono a tutta sui pedali mentre il varesino riesce a tornare in sella dopo una sosta di cinque minuti. Il disagio l’ha trasformato in un’autentica furia, in “una valanga umana che precipita, che balza, è un bolide umano lanciato lungo una via bianca che accieca, in un parossismo di forza cosciente e di furore”. Sono le parole con le quali Armando Cougnet, sulla Gazzetta dell’indomani, anticipa l’annuncio del secondo successo consecutivo di Ganna: infatti, “El Luisin” non solo riesce a riacciuffare gli avversari, ma si prende il lusso di batterli imperiosamente in volata.

I tifosi fiorentini impazziscono per l’impresa del varesino, invadendo il velodromo delle Cascine. Neanche l’ottimo servizio d’ordine riesce a trattenerli. Si dovrebbe ora disputare un’ultima gara, un giro di pista che assegnerà un trofeo speciale messo in palio dagli amministratori della “città del giglio”. Ma l’entusiasmo popolare ne impedisce lo svolgimento ed agli organizzatori non rimane che proporre un giro d’onore simbolico, aperto da Ganna, Galetti e Corlaita, i primi tre piazzati di giornata.

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  • Amministratori

Intervengo un attimo io nel topic, voglio condividere con voi un Tour de France che potrebbe essere classificato.

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Tour de France 1980!

Comincio col dirvi che il Tour presenta 128,5 km a cronometro individuale e 110,8 km a squadre.

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Ci sarebbe stato il pavé nelle tappe cinque e sei. Ci sarebbe stato perché dopo averci perso tempo nel Tour 1979 Hinault protesta minacciando di disertare il Tour e l'organizzazione lo leva.

Andiamo a vedere le "tappe di montagna" o cosiddette tali. Il Tour presenta UNA tappa Pirenaica, la Pau > Bagneres de Luchon che ormai conoscete tutti a memoria.

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Alpi. Primo arrivo in salita del Tour alla 16esima tappa: nientepopodimeno che Pra-Loup, classificata anche HC.

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La seconda tappa alpina invece presenta un classicissimo arrivo a Morzine con partenza da Serre Chevalier. Più precisamente dalla cima del Lautaret

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Ammirate la cagata dei primi 7,5 km di Galibier lato facile! Quindi Madeleine e poi solo falsopiano fino al Joux-Plane.

La terza tappa invece presenta il secondo e ultimo arrivo in salita in zona Grenoble. Collet d'Allevard? Charmrousse? Niente di tutto questo: Prapoutel les Sept Aux e - fidatevi - se ci sono arrivati solo quell'anno lì, un motivo c'è.

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Questa la salita finale.

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A concludere il tutto una tappa di 133 km sul Massiccio Centrale che propone, come piatto forte, la Croix de chaubouret

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Insomma: se il Tour 2012 l'ha vinto Wiggins, qua pure Cancellara o Tony Martin un pensierino ce l'avrebbero fatto.

Ma la cagata non finisce qua! Per la classifica GPM dopo Pra Loup HC saranno classificate seconda categoria due collinette della tappa di Parigi!!!!

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Per la cronaca il Tour andrà a Zoetemelk anche e soprattutto per i problemi fisici di Hinault che con 21'' di vantaggio prima dei Pirenei abbandona la carovana.

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non che il Giro '84 vinto da Moser (e in generale tutti i GT degli anni '80) fosse molto più duro. Basta dire che la tappa regina era il giro del gruppo del Sella (Pordoi, Sella, Gardena e Campolongo, con arrivo ad Arabba). Oltretutto Moserone fece in modo che venisse pure eliminato (ufficialmente per neve) l'arrivo sullo Stelvio. E così il povero Fignon si attaccò al tram...

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Qualcuno che posta oltre a me :shock2:

25 MAGGIO 1909: ATTACCO AL DUCE

“Duce” è, nell’antica terminologia latina, il capo e così Costamagna appella Ganna nella tappa che lo vede seriamente attaccato dagli sfidanti. Il ciclismo è agli albori, non si parla ancora di legge non scritta che recita di non approfittare delle disgrazie altrui per trarne vantaggio in corsa: Ganna fora e davanti partono a tutta, per staccare più possibile il capo della classifica. Ma questa è stilata a punti e non a tempi: concludendo terzo dopo una dispendiosa rimonta – comunque non coronata da successo – il varesino salva il suo primato. Il settimo capitolo della storia del primo Giro d’Italia.

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Un’altra giornata difficile attende i corridori, che alle 3 e mezza della notte del 25 maggio, cominciano a raggiungere il parco delle Cascine. Nel medesimo luogo dove s’era conclusa la precedente tappa, prende anche il via l’ultima frazione montana della prima edizione della corsa rosa. Il tracciato è meno impegnativo rispetto alla giornata di Napoli, per la presenza d’ampi tratti pianeggianti fino a La Spezia, dove la carovana lascerà il mare per salire verso il Passo del Bracco. Tornati sulle rive del Mar Ligure, il percorso prenderà poi a serpeggiare, assecondando gli anfratti della Riviera di Levante: ultimi saliscendi tra Chiavari e Recco, con la salita della Ruta da affrontare nel doppiare il Monte di Portofino, poi il tracciato torna a farsi relativamente filante con l’approssimarsi a Genova. Il traguardo è fissato al Lido d’Albaro dove, per la prima volta nella storia del Giro, è allestito il quartiertappa. Allora definito “quartiere dei corridori”, è ospitato nei locali dello stabilimento balneare, dove a ciascuno è assegnato un camerino nel quale depositare i propri effetti personali. Sono inoltre predisposti un servizio di toilette e le docce, creando un’atmosfera che oggi si è persa ed è possibile respirare solo nelle spartane docce del velodromo di Roubaix. L’entusiasmo dei genovesi è enorme, come si evince dalla quantità di premi straordinari messi in palio: il comune assegnerà a tutti una medaglia d’argento con dedica; il commendator Croce (capo console del TCI a Genova e presidente del comitato di tappa) premierà i primi tre genovesi dell’ordine d’arrivo con una medaglia d’oro; due coppe artistiche sono fornite dal cavalier Picasso (vicepresidente del comitato) e dal signor Prada (presidente della società ciclistica “Veloce Sport Club”); un’altra medaglia d’oro sarà assegnata dal signor Pietro Brunoldi, rappresentante delle quattro case ciclistiche Rudge Whitworth, Swift, Humber e Gritzner, al primo corridore loro affiliato che taglierà la linea d’arrivo.

L’entusiasmo contagia anche la popolazione, sin dai giorni precedenti l’arrivo del Giro. Per evitare i disagi delle tappe scorse è potenziato il servizio di sorveglianza mentre, per distogliere una parte dei genovesi dalla zona d’arrivo, nel centro è allestito un punto d’informazioni presso la sede del quotidiano “Il Secolo XIX”: lì campeggia una gigantografia del percorso di gara, presa d’assalto da numerosi “zenesi” che, comunque, si rileveranno essere i tifosi più indisciplinati incontrati dalla partenza da Milano. I tantissimi che si porteranno al Lido d’Albato invaderanno ogni buco possibile, creando due ali di folla che entusiasmeranno e stordiranno Cougnet, ma creeranno anche non pochi grattacapi agli uomini preposti all’ordine pubblico, soprattutto quando un nutrito gruppo si fionderà sopra al palco riservato alle autorità, arrivando a provocarne il collassamento.

Il via, dato mediante uno squillo di tromba ed il classico abbassamento della bandierina, è dato alle 5 e mezza. Manca Troussellier che, dopo le traversie patite nella tappa precedente, ha preferito ritirarsi e tornare in Francia, seguito dal fidato Pottier.

I “big” sono già sull’attenti fin dai primi chilometri, pianeggianti ma insidiosi a causa della strada, polverosa e tortuosa. Già a 9 Km dalla partenza, dopo le prime scaramucce, il gruppo di testa è costituito dalla crème della classifica (Ganna, Galetti, Rossignoli, Ernesto Azzini e Canepari), mentre due plotoni d’inseguitori seguono staccati, rispettivamente di 300 e 500 metri. D’improvviso la velocità cala, favorendo il ricompattamento dei tre gruppetti; andando verso Pistoia la testa della corsa è ora formata da una quarantina di corridori, che procedono in maniera piuttosto monotona. Incominciano le prime difficoltà altimetrie, che si sposano ai disagi tecnici: sulla salita di Serravalle si registrano, infatti, le prime forature. Il passaggio per Montecatini è disturbato dai viavai di carri e carrozzelle, che sollevano un polverone accecante. A Lucca la corsa transita sulla passeggiata delle mura, dove è previsto il primo controllo a firma, che avviene sotto una pioggia di fiori, lanciata dai tifosi locali. Un gesto simpatico che piace al direttore della Gazzetta, mentre è tacciato come maleducato da Cougnet. È anche l’occasione per eseguire riparazione tecniche o far rifornimento di energie: così Ganna ne approfitta per cambiare il sellino, mentre Canepari, appena rientrato dopo una foratura, arraffa un’enorme costoletta.

Un’altra difficoltà si prospetta all’orizzonte, “il monte per cui i Pisani veder Lucca non ponno” : i primi ad arrampicarsici, ovvero la testa della corsa, sono Oriani, Cocchi, Ganna, Ernesto Azzini, Chiodi, Galetti, Sala, Lampaggi, Gaioni, Rossignoli e Marchese. Anche in questo caso, poco distanziati seguono due gruppetti d’inseguitori, mentre appare all’orizzonte la Torre di Pisa. Nei pressi del pericolante edificio è previsto un altro punto di firma, dove giungono per primi Ganna e Azzini, che s’impegnano in un piccolo sprint. Il gruppo al vertice, che si era ridotto nel numero approssimandosi a Pisa, torna a ricompattarsi una volta imboccate le dritte strade versiliane. Non ce la fanno a rientrare, però, Corlaita, Oriani e Cocchi, frenati da forature e cadute. Anche la Zust di Costamagna è costretta più volte a fermarsi, ma per ben altri, più lieti, motivi: i sindaci dei comuni attraversati avvicinano spesso il direttore della “rosea” per consegnare lettere di congratulazione, mentre s’innalzano grandi striscioni inneggianti ai campioni e allo sport. La sfortuna si accanisce ancora contro Oriani che cade e, rimediata una contusione alla gamba, si ferma a bordo strada; attendendo l’arrivo del medico, è avvicinato da un colonnello che, saputo che si tratta di un militare (arruolato nei bersaglieri, Oriani morirà nel 1917, dopo aver contratto la polmonite per aver attraversato il Piave a nuoto durante la ritirata di Caporetto), lo incita calorosamente a resistere e a terminare il Giro.

Passata Massa, nella girandola delle forature è nuovamente coinvolto Ganna ma stavolta, così lontano dal traguardo e con tutte le montagne ancora da affrontare, sarà impossibile recuperare. Il varesino cerca di non lasciar intendere agli avversari del sopraggiunto incidente, rallenta e si porta nell’ultima posizione del gruppo di testa. Davanti non se ne sono accorti, neppure il suo compagno di squadra Chiodi. Ma quando questi si volta per cercarlo e, non vedendolo, si ferma, la frittata è fatta: un brivido percorre il gruppetto di testa, che subito accellera. È Canepari a trainarlo a tutta, causando il cedimento dei corridori meno resistenti e riducendolo nel giro di pochi chilometri a soli sei elementi: Canepari, Galetti, Rossignoli, Celli e i due fratelli Azzini, Ernesto e Luigi. In vista del passaggio dalla Spezia, dove finisce la pianura ed è previsto un rifornimento prima d’affrontare le salite, il gruppetto degli attaccanti s’è ulteriormente ridotto, poiché si sono staccati Celli e Luigi Azzini, anch’egli vittima di una foratura.

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Prima del Bracco si deve affrontare la breve salita della Foce, dalla cima della quale si ammira il Golfo della Spezia, lievemente ammantato d’una cappa di nebbia. Bastano già i suoi sei tortuosi Km a far emergere i più forti: scollinano in testa Rossignoli e Galetti, mentre si staccono prima l’altro Azzini e poi Canepari, che rimedia la sua seconda foratura di giornata.

Il Bracco non è ripido ma molto temuto. Cougnet, che l’ha scelto personalmente nel tracciare il suo primo Giro d’Italia, definisce la salita come “molto forte: il terreno è buono, ma i frequenti e rapidi tourniquets ci costringono ad andare adagio”. L’Itala è dunque costretta a frenare, permettendo ai giornalisti al seguito di ammirare il panorama dell’Appennino Ligure. Il conseguente rallentamento consente loro anche di assistere a ciò che accade nelle retrovie; mentre i due di testa scollinano assieme ai 618 metri del Bracco, dietro Ganna si lancia in un veemente inseguimento – il suo distacco dal duo al comando era inizialmente di un minuto e mezzo – che gli consente di raggiungere nella discesa verso Sestri Azzini e Canepari, protagonista di uno sbandamento che manda per le terre il compagno d’avventura.

Dalle stesse parti, i due di testa collaborano fino quando una foratura di Rossignoli scatena gli appettiti di Galetti: al passaggio da Lavagna il corridore milanese ha 3 minuti di vantaggio su Rossignoli e quasi un quarto d’ora sul terzetto costituito dal capoclassifica Ganna, Canepari ed Ernesto Azzini; altri sette minuti bisogna attendere per vedere transitare Chiodi, due minuti in più per Celli.

La difficoltà successiva, l’ultima prevista dal percorso di gara, non cambia la situazione in testa, mentre crea ancor più sparpaglio tra gli inseguitori: Chiodi fora, Canepari cade e si fa male, Ernesto Azzini si stacca e in breve chi gli sta davanti guadagna quasi un chilometro. C’è chi tira a tutta, Ganna per tentare d’accorciare le distanze, Galetti per sortire l’effetto opposto. Per questi la vittoria sembra assicurata, il suo vantaggio pare rassicurante, ma una buca si para sul suo cammino. Il milanese l’avverte solo all’ultimo e scarta d’impeto, con un’irruenza, dettata dal nervosismo, che gli provoca un salto di catena. L’inconveniente permette a Rossignoli di raggiungere la “lepre” e di dar con lui vita ad un finale emozionante al cardiopalmo tra conterranei (Rossignoli è pavese). Una sfida tra l’”uomo cronometro” e “Baslott”, come sono soprannominati Galetti e Rossignoli: è quest’ultimo ad imporsi, con uno sprint di tale potenza da staccare di 100 metri l’avversario nel rettilineo d’arrivo in leggera discesa, tracciato sulla strada che dall’Aurelia scende al lungomare. “Angosciosa” per tutti l’attesa di Ganna che, tagliando il traguardo in terza posizione dopo qualche minuto, grazie alla classifica a punti salva la sua leadership.

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  • 2 weeks later...

Rieccomi :mrgreen:

27 MAGGIO 1909: GANNA FA TRIS, GLI ORGANIZZATORI FANNO GAFFE

Giornata dai risvolti tragicomici la penultima di corsa. Per fronteggiare l’imprevista marea umana che si riversa prima a Genova, sede di partenza della settima tappa, e poi a Torino gli organizzatori decidono di attuare una doppia strategia per ingannare il pubblico: la prima parte del piano riuscirà alla perfezione, al punto da essere riproposto in futuro, la seconda fallirà a causa di un clamoroso errore di Costamagna e Cougnet. Chi non sbaglia è Ganna che ottiene uno strepitoso terzo successo…. Ma la partita non è ancora chiusa

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Le mani nei capelli…. È questo il gesto che immediatamente compiono Cougnet e Costamagna alle 2.30 del mattino del 27 maggio, al loro sopraggiungere al raduno di partenza della penultima tappa. Nonostante l’ora, il terrazzo dei Magazzeni Generali, luogo previsto per le operazioni di foglio firma, è letteralmente preso d’assalto dai tifosi. Sono in tantissimi, sia in questo luogo, sia al Ponte di Cornigliano, dove sarà dato il via ufficiale. La folla è eterogena: ci sono eleganti dame di classe strette a fianco di più rustiche popolane, amanti dello sport pigiati ai “camalli”, gli aitanti scaricatori del porto di Genova. La preoccupazione per l’incolumità dei corridori sale, memori di quanto successo due giorni prima al Lido d’Albaro ed alla luce delle notizie che, fin dalla sera precedente, sono telegrafate da Torino. Dal capoluogo piemontese, dove sono attesi ben 50000 tifosi, gli ammistratori fanno sapere che non potranno assicurare un efficiente servizio d’ordine poiché, a causa di un’improvvisa manifestazione di piazza, si dovrà indirizzare una gran parte degli agenti preposti alla sicurezza verso un corteo di fornai in sciopero.

Subito si decide si tenere una riunione d’emergenza con i membri della giuria, per risolvere la questione. Nell’incontro è studiato un “piano di battaglia” in due tempi, il primo da attuare alla partenza e l’altro all’arrivo. Il primo tempo prevede di effettuare una doppia partenza, un sistema che si rivelerà efficacissimo e che poi sarà utilizzato da tutte le corse. Alle 4, concluse le operazioni d’avvio, i corridori sono trasferiti al Ponte di Cornegliano, seguiti da un codazzo non ufficiale di auto e di amatori in bicicletta. La giuria procede all’appello, al quale non risponde Gerbi (il corridore astigiano si era ritirato nella tappa precedente, prima che iniziassero le montagne), da’ il via fittizio alla tappa e poi i “girini” si dirigono verso un luogo periferico di Genova dove, lontano da orecchie ed occhi indiscreti, è data la seconda partenza. Nell’occasione sono avvertiti della seconda parte del piano: la tappa sarà segretamente più breve di 6 Km per la decisione d’anticipare il traguardo a Beinasco, in modo da “bidonare” la folla. Complessivamente la Genova – Torino misura 354 Km, con il tratto iniziale tracciato sulle ancora non usuali strade della Milano – Sanremo, la corsa che la Gazzetta dello Sport aveva messo in calendario per la prima volta due anni prima. Dopo Imperia si lascia il mare per raggiungere la pianura padana scavalcando le ultime due grandi salite del Giro 1909, i colli di San Bartolomeo e di Nava, mentre il finale non prevede più asperità.

I su e giù dell’Aurelia non creano grande scompaginamento in testa alla corsa, nemmeno quando l’inghiaiata salita della Colletta d’Arenzano costringe il gruppo a disporsi su due file, con i corridori in fondo al plotone costretti a scendere di bici ed a percorrere una cinquantina di metri a piedi. In vista del passaggio per Laigueglia il gruppo è ancora forte di 35 uomini, poi la famosa teoria di capi compie una prima selezione. Mele e Cervo fanno poco, è il Berta a creare la maggior selezione. Al passaggio per Oneglia (Imperia non c’è ancora, nascerà solo 14 anni dopo, frutto del “matrimonio” col vicino comune di Porto Maurizio), davanti sono rimasti in sette: Rossignoli, Ganna, Chiodi, Ernesto Azzini, Lampaggi, Rotonni e Beni. Gli immediati inseguitori hanno già un minuto di ritardo. Molti riescono a rientrare, ma alcuni di essi sono immediatamente respinti dall’ascesa verso il San Bartolomeo.

Mentre i corridori sono impegnati sul Colle di Nava, l’Itala di Cougnet allunga ed affronta a tutta velocità la discesa verso Ormea, dove l’auto si ferma e il direttore di corsa si arma di orologio e cronometro per costatare quanto male abbia fatto l’ultima grande salita del Giro. Selezione c’è stata e i corridori transitano alla spicciolata: quando passa il primo, Oriani, l’orologio di Cougnet segna le 11.13. Trenta secondi dopo transita il capoclassifica Ganna, alle 11.15 sopraggiungono Canepari e Sala, alle 11.18 Chiodi, seguito a mezzo minuto da Galetti, che stava divinamente scendendo in testa alla corsa, ma era stato fermato da una foratura.

Improvvisamente, si scatena l’inferno. Sulla corsa rosa si rovescia un devastante nubrifagio, la temperatura scende di parecchi gradi, sembra di assistere al diluvio universale. A tratti grandina pesantemente mentre la strada prende la parvenza del letto di un fiume. Passata la bufera, l’Itala si ferma muovamente a Ceva, stavolta per una sosta fuori programma: la tempesta ha seriamente danneggiato la vettura e i meccanici impiegheranno quasi un’ora per ripararla. Cougnet approfitta dello stop forzato per telegrafare le ultime direttive al traguardo: solo ed esclusivamente le autorità dovranno essere avvisate del trasferimento a Beinasco, per dar loro modo di allontanarsi da Torino senza dare nell’occhio.

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Nessun problema registra la Zust sulla quale viaggia Costamagna che, solo in testa alla corsa, gongola per il successo della sua creatura. Si sta per transitare da San Michele Mondovì, il paesello dov’è nato e dove, 16 mesi prima, era scoccata la scintillia primigenia del Giro d’Italia. È un onore per lui che il primo Giro passasse per le sue terre e comincia a meditare ad un ritorno (cosa che accadrà già l’anno dopo, quando il secondo Giro proporrà un traguardo a Mondovì).

Nel frattempo, sotto la tempesta, i vari gruppetti si erano saldati. Ora marcia in testa un trio di attaccanti di spessore (Oriani, Ganna e Rossignoli), tallonati a circa 3 minuti da un altro terzetto di tutto rispetto (Galetti, Canepari e Chiodi). Avvicinandosi a Cuneo dal gruppo d’avanguardia si stacca Oriani, come il solito appediato da una foratura: non riuscirà più a rientrare.

All’arrivo a Beinasco, a “Magno” viene quasi un colpo, non certo per lo strepitoso terzo successo di Ganna (a dire il vero, arrivato grazie alla provvidenziale foratura – a 3 Km dalla meta – di Rossignoli). Lo scenario che si presenta ai suoi occhi è esattamente l’opposto di quel che si aspettava: una folla strabocchevole, le autorità mischiate ai “profani”, una massa che i pochi volontari del comitato tappa non riescono a trattenere. E dei tutori dell’ordine? Neanche uno! Per capire cosa sia avvenuto è necessario attendere l’arrivo di Cougnet. Un veloce scambio tra i due ed emerge una clamorosa gaffe organizzativa: nel baillame generale, erano state allertate le autorità, ma ci si era dimenticati di avvisare del trasferimento gli agenti!!!!

La folla - che non era proprio così “collettivamente stupida”, come l’aveva definita qualche giorno prima lo stesso Cougnet – vedendo gli invitati svignarsela alla chetichella, aveva mangiato la foglia e si era subito accodata alle vetture dirette a Beinasco.

In quei concitati momenti TUTTI i vigili si aggiravano come anime in pena per le vie improvvisamente sgombre di Torino, chiedendosi che fine avessero fatto tutti.

TUTTI al maiuscolo…. Perché i vigili erano realmente presenti al completo sul traguardo. La notizia dello sciopero era stata inventata di sana pianta dagli organizzatori per rendere credibile, l’indomani sulla Gazzetta, le motivazioni delle loro scelte.

Invece, quel giorno, a nessun torinese mancò, sul proprio desco, almeno una fragrante pagnotta.

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30 MAGGIO 1909: L’EPICA LOTTA E’ CONCLUSA

Ultimo capitolo sulla storia del primo Giro d’Italia, raccontata da Mauro Facoltosi. La tappa conclusiva non si rivela una passerella, anche perché una foratura di Ganna scatena gli appettiti di Galetti, distaccato di pochi punti. L’attacco non va a buon fine (complice involontario uno zelante cantoniere) e nemmeno in volata il milanese riesce a colmare il disavanzo: il primo Giro d’Italia è dell’atleta varesino. Una chicca per i lettori: il verbale che la giuria stese a suggello della prima edizione della corsa rosa.

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Il primo Giro d’Italia è arrivo al suo atto conclusivo. L’ultimo raduno di partenza avviene alla Cascina Marchese, appena fuori la barriera Milano. Rispondono all’appello tutti i 51 corridori rimasti in gara. Ci sono anche Carena, Carcano e Nanni. I primi due prendono il via sotto condizione, essendo stati tacciati, per il momento senza prove, d’aver preso il treno. Nanni, invece, è il veterano del gruppo, dall’alto dei suoi 44 anni e partecipa fuori gara alle ultime frazioni, essendo giunto fuori tempo massimo nel tappone di Napoli. La giuria gli aveva concesso di rimanere in corsa proprio per il rispetto verso la sua età, lui aveva preso il via nella frazione successiva con l’intenzione di percorrere solo il tratto iniziale…. Invece, eccolo ancora qua, pronto a sobbarcarsi gli ultimi 206 Km. È la tappa più breve di tutte ed anche la più facile, senza l’ombra di una salita, ma la classifica stilata a punti e non a tempi rende la corsa ancora apertissima. Si passerà per Vercelli, Novara ed Arona prima di far ritorno a Milano, dove la strategia della doppia partenza sarà messa in pratica anche per l’arrivo, stavolta concordando le operazioni per tempo con tutte le autorità: arrivo ufficiale sul viale di Musocco, arrivo ufficioso all’Arena Civica.

Giusto il tempo di dare il via e subito bisogna assegnare l’oscar della sfortuna al milanese Molina, al quale il 13 (è il numero di dorsale assegnatogli) porta male: percorsi nemmeno 100 metri si trova improvvisamente la strada sbarrata da un’anziana donna e per evitare lo scontro si esibisce in un repentino scarto, finendo però a terra e rovinandosi l’osso della gamba.

A testimonianza della tensione agonistica provocata dalla corsa ancora aperta, subito dopo la partenza prendono già il comando gli uomini che contano, Chiodi, Ganna, Canepari, Oriani e Galetti. La velocità è elevata per gli standard dell’epoca, quasi 30 Km orari, favorita dalla strada pianeggiante. Non c’è selezione, però; a perdere contatto sono soltanto una ventina di uomini. Tra questi c’è Lampaggi che, ad un certo punto, accellera nel tentativo di riprendere il gruppo di testa. Il polverone sollevato dalle auto al seguito, però, finisce per accecarlo e per non fargli vedere dove finisce la strada ed inizia il fosso: vi cade dentro ma, aggrappandosi all’erba, riesce ad evitare un bagno fuori programma a se stesso, ma non alla sua bicicletta, che dovrà essere ripescata con un lungo bastone e poi fatta riparare da un meccanico di Vercelli. In quest’ultima il povero corridore è costretto ad arrivare a piedi, essendo il suo mezzo inservibile.

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Alle porte di Novara, Bruschera e Brambilla, corridori che si erano ritirati diversi giorni prima, vestiti con le casacche rosse ufficiali del team di Ganna – loro compagno di formazione – tentano di intrufolarsi nella corsa in bici, per aiutare il capitano. I colleghi avversarsi protestano e la giuria li avvicina e li invita ad allontanarsi, cosa che avviene immediatamente (anche se alcune cronache dell’epoca, non quelle ufficiali, raccontano che Brambilla colse l’occasione per insultare i giudici che l’avevano messo fuori gara a Napoli).

Inizia adesso il momento più difficile di questa tappa, l’interminabile rettilineo – oltre 30 Km – che da Novara porta a Borgomanero. Si tratta di una difficoltà più rilevante sul piano morale che fisico, essendo la salita facilissima e limitata solo all’ultimo tratto. A pesare è la monotonia di una strada infinitamente diritta, che sembra non finire mai. Chi segue la corsa dall’auto avverte questo disagio nella condotta di gara del gruppo che procede a scatti: a tratti si va velocissimi, per tentare di giungere il più rapidamente possibile al termine del rettifilo; ma quando si avverte che la fine è ancora lontana il gruppo quasi si demoralizza e la velocità cala all’istante, fino al momento della successiva accellerata. Sembra che stiano pedalando “come dei suggestionati senza che il loro cervello agisca menomamente”.

In occasione di questi scatti, i soliti noti si alternano in testa alla corsa ma, di fatto, non accade nulla fino a Borgomanero, dove si assistono ai primi tentativi, inaugurati da uno slancio di Rossignoli. Il gruppo si screma e si lancia giù per la dolce discesa verso il Lago Maggiore. Affrontando questo tratto Ganna incappa in una foratura. È l’evento fa letteralmente esplodere la corsa, anche se non nell’immediato perché gli avversari ci metteranno qualche minuto ad accorgersi dell’incidente accaduto al capoclassica. Ma quando si “svegliano” partono a tutta e ad Arona, dove termina la discesa, Ganna è già staccato di due minuti. Al comando si formano due gruppetti. Il primo è composto da Canepari, Oriani, Galetti, Rossignoli e Beni. Nel secondo plotoncino, brevemente staccato, ci sono Sala, Marchese, Gamberini, Luigi Azzini, Corlaita e Zavatti. Imprimono una forza tale sui pedali da alzare un grosso polverone. A sorvolare il percorso di gara si vedrebbero non i corridori ma due nuvole che s’inseguono veloci, sullo sfondo delle montagne.

Il Giro rientra in Lombardia, da dov’era partito due settimane prime, le due settimane più intense e vissute di quel 1909, destinate ad essere rivissute negli anni a venire.

Con l’avvicinarsi a Milano la folla presente a bordo strada aumenta in maniera esponenziale, ottimamente trattenuta dai gendarmi. Alcuni automobilisti imprudenti ed importuni riescono ad infilarsi in corsa, tra le due “nuvole” al comando. Nel frattempo, per evitare incidenti e pericolosi assembramenti (si stimano tra le ottantamile e le centomila persone assiepate negli ultimi 6 Km), i responsabili dell’arrivo decidono di scegliere solo all’ultimo momento il punto preciso del viale di Musocco sul quale innalzare lo striscione del traguardo. È una scelta che disorienta ed impazientisce i milanesi che continuano ad ondeggiare su e giù per il viale.

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Sulla marcia della muta scatenata degli attaccanti s’infrappongono due passaggi a livello abbassati. Il primo, quello di Busto Arsizio, è superato scavalcando le barriere, ma al secondo stop sono bloccati da uno zelante cantoniere, che finisce per favorire il rientro di Ganna. La crème della classifica torna così a ricompattarsi in vista dell’ingresso nel capoluogo lombardo. Poco dopo le quindici viene finalmente stesso lo striscione, esattamente all’altezza della trattoria “Isolino”, nel quartiere Cagnola, al termine d’un lunghissimo rettilineo. La gente è troppa e vengono chiamati dei rinforzi, sotto forma d’uno squadrone di Lancieri di Novara a cavallo, che scorteranno i “girini” nell’ultimo dei 2448 Km stabiliti per il primo Giro d’Italia. Si riesce a sgombrare intrusi il rettilineo d’arrivo dagli ultimi proprio in extremis, perché subito giunge la notizia che i corridori hanno già imboccato l’ultimo chilometro. Contemporaneamente partono al galoppo i lancieri, riuscendo nel compito di tenere lontana la folla ma provocando indirettamente l’ultimo incidente di corsa: l’improvviso scartare di un cavallo, forse spaventato dallo sferragliare dei pesanti “destieri di ferro”, causa un’eguale azione nel gruppo, che teme che l’animale caschi in mezzo alla strada. A finire a terra, proprio all’ultimo, sono invece i corridori, in un groviglio di bici contorte ed accessori di corsa.

La sbandata finisce per frenare l’azione di Galetti, che si vede soffiare il successo da Dario Beni. Il Giro, dunque, s’apre e si chiude con la firma del medesimo uomo, mentre Ganna taglia il traguardo con aria smarrita e sconsolata. È convinto d’aver perduto il Giro, ma ha fatto male i conti: per un’inezia, due punti appena, la prima edizione della corsa rosa è sua. Completano la top ten dell’ultimo ordine d’arrivo Oriani, Luigi Azzini, Chiodi, Rossignoli (vincitore “cronometrico del Giro”; se non ci fosse stata la classifica a punti, avrebbe sopravanzato Galetti di 23’34" e Ganna di 36’54"), Corlaita, Canepari e Zavatti, giunti sparpagliati sull’ultimo traguardo.

Neanche le contromisure prese dagli organizzatori riescono a contenere l’esultanza dei milanesi. Impossibile compiere in bici la prevista passerella d’onore dal viale di Musocco all’Arena Civica, percorrendo Corso Sempione e sfiorando l’Arco della Pace, i “girini” sono caricati su degli automezzi d’emergenza, dai quali Ganna appare agli occhi del pubblico “malconcio di polvere e di sudore, lo si poteva scambiare per Radames”.

L’ingresso all’Arena è trionfale e non solo per il vincitore. Tutti vengono osannati mentre si effettua una volata simbolica, replicando quella vissuta pocanzi; poi i corridori si sottopongono per l’ultima volta ai rituali del foglio firma e della punzonatura. La premiazione è effettuata nello stile “belle èpoque” dell’epoca, una coreografia fatta di giro d’onore, fiori, banda, strette di mano, congratulazioni, arrivederci e bacio da parte di miss “d’antan” che sfoggiano ombrellino, frangetta e fazzolettino profumato col Coty.

La Gazzetta dello Sport chiude la festa prendendo un impegno storico con l’Italia e gli italiani: “è stato scritto con profondo solco negli annali dello sport un avvenimento glorioso da ripetersi annualmente con crescente entusiasmo ed amore”.

L’epica lotta è compiuta.

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IL VERBALE DELLA GIURIA

Milano, 1 giugno – Riunitasi la Giuria del Primo Giro Ciclistico d’Italia indetto e organizzato dalla Gazzetta dello Sport nelle persone di: conte Orazio Oldofredi, presidente, E.C. Costamagna, rag. Cougnet, rag. Bongrani, cav. Carozzi Pilade, delegato dell’U.V.I. al Giro d’Italia, ha proceduto alla classifica generale degli arrivati dopo aver preso in esame l’unico reclamo pervenuto nel tempo utile e che qui si allega.

A questo proposito la giuria mentre deplora che il corridore Galetti abbia reso pubblico a mezzo dei giornali il reclamo stesso ancora sub judice (caso previsto e vietato dal regolamento dell’U.V.I.) respinge il detto reclamo per le motivazioni seguenti:

I corridori Brambilla e Bruschera non possono aver portato aiuto alcuno al corridore Ganna, trovandosi essi di parecchio distanziati, e non appena invitati a ritirarsi dai membri della giuria che seguivano la corsa, i succitati corridori si allontanavano.

Per il fatto riguardante il Danesi, che avrebbe dato un berretto fuori di un posto di rifornimento al corridore Ganna, la giuria considerando l’importanza della corsa e stando allo spirito del regolamento esclude che il deferito fatto possa menomamente essere implicato nel capoverso secondo dell’articolo 7 del regolamento Giro d’Italia ed abbia potuto pregiudicare l’esito finale.

A carico del corridore Carcano, essendo risultato che nella quinta tappa (Roma – Firenze) si servì del treno nel tratto da Civitacastellana a Pontassieve, la Giuria che gli aveva lasciato proseguire la corsa dietro sua dichiarazione, in base ora a formale denuncia documentata da testimonianze squalifica il detto corridore togliendolo dalla classifica finale.

Avverte pure altri corridori sui quali gravano denunzie non ancora provate che risaltando l’evidenza dei fatti denunziati incorreranno nelle pene disciplinari prescritte dal regolamento dell’U.V.I.

Ciò deliberato si passa alla classifica generale che viene stabilita come segue:

1 Ganna Luigi punti 25

2 Galetti Carlo ›› 27

3 Rossignoli Giovanni ›› 40

4 Canepari Clemente ›› 59

5 Oriani Carlo ›› 72

6 Azzini Ernesto ›› 77

7 Beni Dario ›› 91

8 Sala Enrico ›› 98

9 Celli Ottorino ›› 117

10 Marchese Giovanni ›› 139

11 Chiodi Luigi ›› 141

12 Petrino Alberto ›› 141

13 Lampaggi Pietro ›› 157

14 Zavatti Attilio ›› 157

15 Cellerino Giuseppe ›› 164

16 Rotondi Antonio ›› 166

17 Galoppini Arnolfo ›› 175

18 Jacchino Giuseppe ›› 177

19 Corlaita Ezio ›› 185

20 Milano Domenico ›› 206

21 Magagnoli Angelo ›› 208

22 Cocchi Giovanni ›› 221

23 Pazienti Alessandro ›› 221

24 Gamberini Ildebrando ›› 222

25 Sabbaini Ottorino ›› 224

26 Modesti Giulio ›› 229

27 Gatti Luigi ›› 245

28 Osnaghi Cesare ›› 245

29 Zuliani Ronco ›› 246

30 Azzini Luigi ›› 248

31 Fortuna Mario ›› 255

32 Caratti Eugenio ›› 265

33 Belloni Amleto ›› 272

34 Di Marco Guido ›› 274

35 Anzani Giuseppe ›› 275

36 Magrini Guido ›› 281

37 Carena Giovanni ›› 282

38 Secchi Mario ›› 284

38 Rho Augusto ›› 284

38 Lonati Mario ›› 284

38 Lissoni Pasquale ›› 284

42 Tomarelli Azeglio ›› 285

43 Moretti Angelo ›› 286

44 Galbai Giuseppe ›› 290

45 Castellini Senofonte ›› 291

46 Colombo Giovanni ›› 292

46 Roscio Emilio ›› 292

46 Martano Luigi ›› 292

49 Perna Giuseppe ›› 297

Conte Orazio Oldofredi

E.C. Costamagna

Rag. Armando Cougnet

Rag. Primo Bongrani

Cav. Carozzi Pilade

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Arhiviamo il Giro del 1909 e passiamo al Tour del 1960 che vide la vittoria del nostro Gastone Nencini, ma an che la tragica caduta di Roger Rivière, uno dei ciclisti più sfortunati di sempre (lasega dixit)

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I piattoni ve li risparmio... anche perché non li ho trovati :mrgreen:

10° Tappa

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La prima tappa di "montagna" dice tutto su quello che verrà dopo

11° Tappa

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Hanno tolto l'Aubisque tanto per cambiare o perché con diventava una tappa troppo dura? Temo la seconda...

12° Tappa

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Wikipedia in inglese "Stage with Mountains"

Anche il VIDEO

13° Tappa

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Questa è verde anche per loro

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14° Tappa

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Tappa della caduta di Rivière nella quale rimase paralizzato alle gambe. Sfortunatissimo anche perché successivamente morì per un cancro alla Faringe a 40 anni :banghead:

Video di commemorazione:

http://www.youtube.com/watch?v=q5apfu9u7x0&hl=it

15° Tappa

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Forse era meglio se annullavano il Tour per "manifesta pericolosità delle cadute" :banghead:

16° Tappa

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Eccolo il tappone con un durissimo arrivo su una lunghissima salita... forse.

17° Tappa

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E questo dovrebbe essere il tappone finale? Certo che no, infatti è questo:

18° Tappa

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sempre segnalata come "Stage with Mountains"

Almeno bisogna segnalare che c'erano solo 111 km a cronometro :stelle:

In definitiva:

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Classifica finale:

1 Gastone Nencini (ITA) 112h 08' 42"

2 Graziano Battistini (ITA) +5' 02"

3 Jan Adriaensens (BEL) +10' 24"

4 Hans Junkermann (FRG) +11' 21"

5 Jozef Planckaert (BEL) +13' 02"

6 Raymond Mastrotto (FRA) +16' 12"

7 Arnaldo Pambianco (ITA) +17' 58"

8 Henry Anglade (FRA) +19' 17"

9 Marcel Rohrbach (FRA) +20' 02"

10 Imerio Massignan (ITA) +23' 28"

Un paio di foto:

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