Vai al contenuto

Seguici su Discord

Unisciti al server Discord di PCM Italia per rimanere sempre in contatto con noi, parlare di ciclismo e vivere un'esperienza multiplayer ottimale
Unisciti al server

PCM Italia è su Tapatalk

Scarica Tapatalk gratuitamente sul tuo smartphone per consultare in maniera facile e veloce PCM Italia anche da mobile!
Leggi di più

Disponibile Pro Cycling Manager 2021

Pro Cycling Manager 2023 e Tour de France 2023 sono finalmente disponibili
Leggi di più

Percorsi storici


Andrepg

Messaggi raccomandati

  • Risposte 75
  • Created
  • Ultima Risposta

Top Posters In This Topic

Vedendo questi percorsi storici posso dire solo una cosa.

Il Tour de France è sempre lo stesso schifo di corsa da 50 anni, non hanno un minimo di fantasia icon_mrgreen.gif

Almeno qua l'Alpe ed il Puy de Dome esordivano, il problema è che poi non hanno più trovato nuove salite, l'altro giorno trovai un sito dove elencavano le salite rilevanti dei Pirenei per anno di scoperta al Tour, ecco per 40 anni (non gli ultimi) non hanno messo niente di nuovo, non dico un HC (quello non lo fanno dal 1920), ma nemmeno un 2° categoria. Ora vedo di ritrovarlo.

Link al commento
Condividi su altri siti

Ecco:

345oqq8.png

Dal 1913 al 1953 nessuna salita inedita, nei successivi 30 anni hanno messo mediamente una salita ogni 2 anni, ed è dal 2003 che non tirano fuori nulla di nuovo quando il ciclismo ha bisogno di rivoluzioni. Posso ricostruire, tramite sito del Tour una tabella, come questa per le Alpi, sono curioso di vedere che obrobrio viene fuori.

Link al commento
Condividi su altri siti

Rieccomi con il....

Giro d'Italia 1909

Il primo eroico Giro

giro+1909+1.jpg

19091.jpg

19092.jpg

19093a.jpg

19094e.jpg

19095r.jpg

19096.jpg

Mancanti le ultime due tappe

Che dire, erano i tempi veramente eroici in cui non occorrevano le salite per fare una selezione bestiale, in cui si percorrevano anche 400 km la cui maggior parte su sterrato o comunque su strade disastrate e chissà quanto avrà fatto bestemmiare i corridori l'unico "arrivo in salita" a Chieti.

Link al commento
Condividi su altri siti

Per questo Giro ho deciso di diluire il materiale, infatti posterò 1/2 racconti della tappa al giorno, così da vivere l'inizio del mito della crosa rosa passo per passo. Prendete il post precedente come la presentazione del percorso, mentre questo vi racconterà le fasi precedenti alla partenza. Da domani inizierò a postare il racconto delle tappe che avranno il formato del seguente articolo aggiungendoci, se ci riesco, immagini e/o video.

La storia del 1° Giro d'Italia: La nascita

In occasione del centenario della corsa rosa, Mauro Facoltosi ci racconterà l’avventurosa storia della prima edizione del Giro, disputata nel maggio del 1909. Le radici della manifestazione furono però piantate quasi un anno prima: la prima puntata ci porterà a scoprire come, nella calda estate del 1908, si arrivò alla decisione di istituire il Giro, “rubando” l’idea al Corriere della Sera. La genesi non si rivelerà facile sul piano finanziario, mentre meno problematico sarà reperire risorse “umane”, grazie all’iscrizione di ben 166 corridori.

d06c1a3245.jpg

Nella foto, la prima punzonatura del Giro, all'Albergo Loreto di Milano

C’era una volta una spia.

Inizia come una favola la storia del Giro d’Italia. Ma c’è quell’apparentemente brutto termine, “spia”, a riportarci saldamente coi piedi per terra, a quella che non è una favola, ma una bellissima realtà, quella corsa rosa che nel 2009 festeggerà solennemente il suo centesimo compleanno.

Ha un nome quella benevola spia: è Angelo Gatti, fondatore e comproprietario dell’Atala, la famosa azienda di biciclette. In una calda giornata dell’agosto del 1908, venuto a sapere che il Corriere della Sera era seriamente intenzionato a lanciare un Giro d’Italia in bicicletta - sulla falsariga di quanto accadeva in Francia già da un quinquennio e cavalcando l’onda di una precedente manifestazione automobilistica, che il quotidiano milanese organizzava dal 1901 - il Gatti telegrafò la notizia all’amico Tullio Morgagni, caporedattore ed uno dei soci amministratori della Gazzetta dello Sport, che già da tre anni era impegnata in campo organizzativo con il Giro di Lombardia e da uno con la Milano - Sanremo.

Il Morgagni non perse tempo e inviò subito un telegramma agli altri soci, Armando Cougnet (caporedattore della sezione ciclismo) ed Eugenio Camillo Costamagna (direttore): “Improrogabili necessità obbligano Gazzetta lanciare subito Giro Italia. Ritorna Milano. Tulio”.

Era il 5 agosto. In quel momento i due soci si trovavano fuori Milano, il primo a Venezia per lavoro, il secondo a godersi le ferie nel fresco della natia San Michele Mondovì.

Interrotte sull’istante le loro attività, il giorno successivo si svolse la riunione decisiva, al civico 2 di Via della Signora, l’allora sede della “rosea”. Si stabilì in quattro e quattrotto di organizzare la corsa e di darne notizia sulla prima edizione utile del giornale, che all’epoca aveva cadenza bisettimanale. Già ventiquattrore dopo, venerdì 7 agosto 1908, l’Italia seppe che l’anno successivo si sarebbe disputata la prima edizione del Giro.

Il Corriere fu così battuto sul tempo, ma ora bisognava “correre” a recuperare i mezzi necessari affinché quest’avventura potesse compiersi. Sotto l’aspetto organizzativo non c’erano grandissimi problemi poiché Armando Cougnet, in procinto di debuttare come primo direttore del Giro, aveva avuto la possibilità di impratichirsi seguendo “de visu” le edizioni 1906 e 1907 del Tour de France ed organizzando le prime corse promosse dalla Gazzetta. Erano le tasche quelle più difficili da colmare, considerati anche gli stipendi da “fame” che percepivano i tre amministratori (talvolta capitava di non riuscire a saldare i debiti con la tipografia che stampava il quotidiano). In loro aiuto giunse Primo Bongrani, ragioniere presso la Cassa di Risparmio, che consigliò loro di agire come le banche: chiedere agli altri i soldi, dove questi mancavano. Fu lo stesso Bongrani, preso un mese di licenza dal lavoro, a scendere in campo per bussare a tutte le porte possibili. Compresa quella del Corriere della Sera che, da gran signore, offrì le tremila lire che costituiranno il premio massimo, quello destinato al vincitore.

L’ultimo aiuto, necessario per coprire il rimanente buco di 1000 lire, fu fornito in occasione della Sanremo del 1909 dal casinò della cittadina ligure e dall’ingegner Sghirla, che in passato aveva già collaborato con la Gazzetta nell’organizzazione della Milano - Acqui - Sanremo (corsa per vetturette che si rivelò un totale fiasco ma che sarà la scintilla che porterà alla nascita della classicissima).

Nel frattempo si procedette ai primi sopralluoghi, necessari alla costruzione “fisica” del Giro. Si scelse di imitare il Tour de France, proponendo otto tappe non consecutive ma inframmezzate da più giornate di riposo, indispensabili per permettere ai corridori di riprendersi dai disagi di frazioni interminabili, disputate su strade dai fondi squassati e caratterizzate da orari di partenza ed arrivo oggi improponibili. Stabilita la partenza assoluta a Milano, in casa Gazzetta, le sedi di tappa sono individuate in Bologna, Chieti, Napoli, Roma, Firenze, Genova, Torino e Milano, dove il Giro terminerà il 30 maggio. In tutto si dovranno coprire 2448 Km, pari ad un chilometraggio medio di 306 Km! La frazione più lunga sarà proprio quella del debutto - prevista sulla distanza di ben 397 Km - mentre l’ultima sarà la più breve, 209 Km “appena”!

Fatto il Giro, bisogna fare i “girini”. E la caccia non sarà così difficile come quella ai finanziamenti. Le prime iscrizioni giungeranno nella redazione della Gazzetta già nei mesi successivi: il primo a presentarsi fu il bresciano Felice Peli, seguito da altri 165 corridori. 146 sono italiani, mentre tra gli stranieri spicca il nome del francese Lucien Georges Mazan: più famoso con il soprannome di “Petit Breton”, si è imposto nelle ultime due edizioni del Tour ed è noto in Italia per essere stato il primo vincitore della Milano - Sanremo. La notizia della nascita del Giro fa davvero il giro del mondo, perdonateci il gioco di parole, e lo testimonia l’iscrizione di due atleti provenenti da paesi molto lontani, l’argentino Anselmo Ciquito e il russo Iwan Nedela.

Il gran giorno è fissato per giovedì 13 maggio 1909, alle 2.53 della notte. Data l’ora antelucana, il raduno inizia già il giorno prima quando, tra le 13 e le 18, l’Albergo Loreto è teatro delle operazioni di punzonatura. Si presentano solo 128 dei 166 corridori iscritti, anche per il clamoroso forfait dell’Alcyon, una delle formazioni più temute ed agguerrite dell’epoca, la “Mapei” d’inizio secolo, che priva della futura corsa rosa (il colore più bello del mondo era già stato adottato nel 1899 per la carta del giornale, per la maglia bisognerà aspettare fino al 1931) di ben 11 pretendenti di spessore.

Non manca all’appuntamento il pubblico, che si riversa in massa in Corso Buenos Aires, sorprendendo gli stessi organizzatori e i “ghisa” meneghini, costretti a trattenere la folla schierando un vero e proprio esercito tra guardie, vigili e carabinieri (anche a cavallo).

Con l’avvicinarsi dell’ora X aumenta il numero dei tifosi, gran parte dei quali inneggiano a Giovanni Gerbi, l’astigiano “Diavolo Rosso”, forse il più famoso tra gli italiani al via.

Le automobili ufficiali cominciano a scaldare i motori. La prima a muoversi, bardata con bandiere rosse e fasce rosa, è la Züst sulla quale viaggerà il direttore Costamagna - che scriverà gli editoriali dal Giro, firmandoli con lo pseudonimo di “Magno” - accompagnato dall’avvocato Pilade Carozzi, vice presidente dell’UCI e primo italiano a rivestire tale carica. Il pistard Giovanni Tomaselli, due volte campione italiano di velocità, è al volante della “Bianchi” riservata ai rappresentanti delle case ciclistiche in gara. Chiude la carovana delle vetture apripista un’Itala fornita dalla Pirelli per permettere al primo direttore di corsa Armando Cougnet ed ai colleghi giornalisti al seguito di seguire la corsa dal vivo.

Mancano oramai pochi minuti alla partenza. C’è il tempo per un ultimo, breve discorso inaugurale, affidato al cavalier Carlo Cavanenghi, il presidente della UVI (Unione Velocipedista Italiana, “mamma” dell’odierna F.C.I.).

Il prestigioso ruolo di primo gran mossiere spetta al sig. Marley, il re dei cronometristi dell’epoca.

Alle due e cinquantatre l’abbassarsi d’una piccola bandierina rappresenta il levarsi del grande sipario rosa sul palcoscenico del Giro d’Italia.

Buona avventura!

Link al commento
Condividi su altri siti

Una tappa da 397km con partenza alle 2 e 53 di notte :lol:

Perchè non le fanno pure oggi? :cry:

Qua il racconto della prima, 14 ore ti corsa :shock2:

13 MAGGIO 1909: PARTE IL GIRO, BENI PRIMO VINCITORE

Seconda puntata della storia del primo Giro d’Italia. Inevitabilmente, è la giornata delle prime volte: la prima salita (facile), le prime forature, le prime cadute. Queste ultime costituiscono il principale argomento di discussione, poiché collocano fuori gara due dei protagonisti più attesi, Giovanni Gerbi e Petit Breton. Oggetto di discussione anche le caotiche operazioni di compilazione della prima classifica generale, a causa della confusione che regna all’Ippodromo Zappoli di Bologna, sul quale si riversa un violento acquazzone. Il romano Dario Beni primo capoclassifica. Il racconto di Mauro Facoltosi.

3c45313a43.jpg

Nella foto, un punto di controllo

La prima frazione in assoluto del Giro scatta verso le 3 di notte di giovedì 13 maggio 1909. La prima tabella di marcia prevede 397 Km di gara tra Milano e Bologna. Non si segue la strada più diretta tra i due centri padani, la Via Emilia, ma si compie un ampio tragitto ad arco, che sale verso Bergamo, tocca Brescia, Verona, Vicenza e Padova per poi scendere verso Bologna, giungendovi attraverso Ferrara, una volta superato il Po mediante un traballante ponte di barche.

Già aleggia nell’aria un vago sentore di mito, ma bastano pochi colpi di pedale per riportare tutti alla cruda realtà della strada. Ad appena un chilometro e mezzo da Piazzale Loreto, luogo dello start ufficiale, s’innesca una caduta in perfetto stile “Coppa Cobram” di fantozziana memoria: tutti giù per terra. Un capitombolo sul quale non è mai stata fatta luce appieno poiché, complice l’oscurità, non si è mai riusciti a stabilirne con certezza la causa: c’è chi parla di un bambino in mezzo alla strada, chi di un paletto non visto dal gruppo e centrato in pieno. Sicuro è che tutti si rialzano senza problemi, tranne uno: il più idolatrato dagli italiani, Giovanni Gerbi, è disarcionato dal suo mezzo meccanico, oramai inservibile. Per sua fortuna nei pressi si trova una concessionaria della Bianchi, dove gli ripareranno la bici dopo aver tirato giù dal letto il primo meccanico a disposizione. Rientrerà in corsa tre ore più tardi… e potrà dirsi fortunato che in Italia non sia in vigore il regolamento del Tour, che obbliga lo stesso corridore a smartellare per riparare il danno.

Attraversata Monza ed il suo celebre parco, ancora legato al solo ricordo della Villa Reale (l’autodromo sarà realizzato a partire dal 1922), la strada cambia volto sotto le ruote dei girini, lasciando spazio ad un fondo piuttosto pesante. Il gruppo sembra non avvertire questo disagio e si lancia a tutta velocità in quel tortuoso e grattugiato budello, raggiungendo ben presto le ammiraglie di testa, mentre dietro qualcuno comincia a staccarsi. All’alba i primi corridori passano sull’Adda e puntano verso Bergamo, dove è collocato il primo punto di controllo. Sono i traguardi volanti dell’epoca: niente premi, niente striscioni ma solo due rozzi tavolacci, uno per il rifornimento, l’altro per apporre la firma nell’apposito casellario. Non esistendo “radio corsa”, per giuria e i giornalisti è la prima reale occasione per cominciare a raccogliere distacchi e notizie, che poi saranno telegrafate alla sede della Gazzetta e quindi esposte sulle vetrine della Lancia-Lyon Peugeot, in Piazza Castello. Per chi possiede un telefono, c’è la possibilità di informarsi “online” chiamando il numero 33.68.

Il gruppo di testa, forte di sei unità (tra questi, il futuro vincitore Ganna), transita da Bergamo alle 4,47, dopo aver percorso i primi 56 Km ad una media di 29,473 Km/h. I tempi, a dire il vero, contano poco: fino al 1913, infatti, le classifiche generali saranno stilate a punti, assegnando a ciascun corridore un numero corrispondente al piazzamento (dunque, un punto al vincitore, 2 al secondo, e così via…. Alla fine vince chi ne conquista meno).

È il primo Giro e, di conseguenza, tutto accade per la prima volta. Andando verso Brescia, dove è in programma il secondo rifornimento, accade la prima foratura in assoluto: la vittima è Carlo Galetti, seguito poco più avanti dal francese Petit-Breton. Tocca poi alla prima salita, un dolce zampellotto in vista di Lonato che il gruppo supera senza problemi, allungandosi un po’ nell’affrontare la discesa verso le rive del Lago di Garda. Nel passaggio dalla Lombardia al Veneto avviene il primo episodio importante, la caduta che taglia fuori dai giochi il favoritissimo Petit Breton. L’asso francese ruzzola contro una ringhiera a causa di un improvviso mancamento – in quel momento aveva levato una mano dal manubrio per addentare un pezzo di pollo – e, dopo esser rimasto privo di sensi per qualche minuto, rimonta prontamente in sella e fila a 35 all’ora in direzione di Padova, nonostante abbia riportato una lussazione alla spalla.

Passata Verona con 27 corridori in testa alla corsa, il tempo comincia a guastarsi, in particolar modo dopo il controllo di Padova, dove transita primo, impegnandosi in una piccola volata, il francese Trousselier. Nel frattempo la media è calata, rimanendo comunque elevata per le operazioni di controllo, che si rivelano piuttosto caotiche.

Il corridore transalpino tenta altre volte, senza riuscirci, di sorprendere il gruppo di testa; nel frattempo, sulla corsa cominciano a cadere le prime gocce di pioggia, preoccupando Cougnet e soci per l’oramai prossimo passaggio sul ponte di barche. Preoccupazioni che non smorzano l’entusiasmo per le confortanti notizie provenenti da Bologna: all’Ippodromo Zappoli, sede designata per l’arrivo della frazione inaugurale, si sta riversando una fiumana di gente, richiamata dai prezzi popolari proposti dai gestori dell’impianto e dall’ottimo battage pubblicitario, a suon di manifesti piazzati in ogni angolo della città.

Giove Pluvio decide di graziare gli organizzatori, almeno per il momento, ed il passaggio in direzione di Ferrara avviene senza problemi.

All’ultimo rifornimento, previsto a Cento (34 Km all’arrivo), il gruppo di testa è composto di 12 unità. Nel finale le condizioni meteorologiche peggiorano irrimediabilmente: scoppia un tipico temporale serotino estivo, fatto di acqua a catinelle, tuoni e fulmini. All’orizzonte la silhouette della Madonna di San Luca, lassù sui colli, compare e scompare secondo il baluginare dei lampi.

Entrati nell’ippodromo, bisogna compiere un giro sulla pista in terra battuta prima di completare la tappa. Dopo oltre 14 ore di gara, volate ad una media di 28,090 Km/h, il romano Dario Beni precede allo sprint il torinese Pesce e il milanese Galetti, consacrandosi così, alle 5 della sera del 13 maggio 1909, primo vincitore in assoluto di una tappa del Giro e primo capo della classifica. Stilare quest’ultima si rivela un’impresa improba, a causa della confusione che regna alla Zappoli. Colti di sorpresa dall’acquazzone, i tifosi felsinei travalicano tutti i cordoni e tutti i limiti e corrono a ripararsi dove possibile, arrivando ad infilarsi anche sulla tribuna riservata ai giudici di gara. Da quella posizione, tra uno spintone e una gomitata, si riescono ad individuare correttamente solo i primi due piazzati. Va meglio a chi segue la corsa sulle vetture di testa, una posizione che si considerava scomoda, dalle quali si riescono a riconoscere altri due corridori. Per le restanti posizioni ci si deve arrabattare alla meno peggio, chiedendo ai vari atleti come si fossero piazzati (sempre se fossero in grado di ricordarselo, altrimenti si procede “a spanne”).

È l’unico neo di una giornata perfetta.

Link al commento
Condividi su altri siti

Spettacolo puro... :|

Per i primi attacchi e con loro lo spettacolo devi aspettare un decennio, diciamo gli anni '20 con Girardengo e Binda. Qua partono tutti insieme ed in pianura piano piano si staccano tutti, era solo una gara di resistenza (vedesi il chilometraggio), ma sono pur sempre gli albori :smilie_daumenpos:

Ora però "guardiamo" la seconda tappa, magari veniamo entrambi smentiti :mrgreen:

16 MAGGIO 1909: SECONDA TAPPA, GANNA PASSA IN TESTA

Il racconto della seconda tappa del primo Giro s’apre con i ritiri eccellenti di Petit-Breton e Pavesi. La cronaca giornaliera è scarna d’episodi di rilievo. Si segnalano, comunque, il crescente entusiasmo popolare e le prime “furbizie” dei partecipanti, peccati che diverranno di dominio pubblico solo due giorni più tardi, quando il Giro affronterà per la prima volta le montagne. Il Giro si presenterà ai piedi degli Appennini con Ganna capoclassifica, “contentino” per la delusione di Chieti, dove è battuto allo sprint da Cuniolo.

2dc67310f7.jpg

La seconda tappa si corre il 16 maggio, tre giorni dopo la prima frazione, sulla distanza di 378 Km. Si va da Bologna a Chieti percorrendo quasi costantemente la statale adriatica e transitando per Rimini, Ancona e Pescara. Fin qui il percorso è pressoché pianeggiante, poi inizia la dolce ascesa verso il traguardo che, dunque, rappresenta il primo arrivo in quota della corsa rosa.

I “girini" sono sottoposti ad un’altra levataccia: il raduno, fissato presso Porta Mazzini, è aperto alle 2 e mezza, la partenza ufficiale è prevista alle 4. Sono ripetute le operazioni di punzonatura, mentre i corridori arrivano alla spicciolata. Il pubblico comincia a riconoscerli ed osannarli, ma gli strepitii sono tutti per Gerbi, come sempre: la sfortuna accanitasi contro il corridore astigiano, ultimo della classifica generale, ha fatto aumentare l’amore per questo atleta.

All’appello dei parenti non risponde Petit Breton, che se ne sta in un angolo col braccio al collo: il suo Giro finisce qua. Dopo nemmeno un chilometro, giusto il tempo del via ufficiale, si registra un altro ritiro eccellente: a causa del riaprirsi di una vecchia ferita di corsa scende di sella Eberardo Pavesi – futuro direttore sportivo di Bartali – che fa ritorno a Bologna dopo esser montato sulla prima auto a disposizione, quella guidata dal lottatore triestino Giovanni Raicevich, campione del mondo in carica nella specialità, presente al Giro in qualità di “padrino” di prestigio della corsa.

Il gruppo comincia a sgranarsi, nonostante la strada si presenti piuttosto ampia e pianeggiante. Il calore della Romagna abbraccia fin da subito il Giro d’Italia e lo testimonia l’accorrere in massa delle popolazioni locali a bordo strada, per applaudire i pionieri del ciclismo. Le prime testimonianze d’affetto prendono anche una forma “solida”, quella di foglietti multicolori lanciati, a mo’ di coriandoli, al passaggio della carovana. Compaiono i primi striscioni; su uno di essi, innalzato in quel di Savignano, si può leggere: “Alla GAZZETTA DELLO SPORT organizzatrice geniale del GIRO D’ITALIA – al Corriere della Sera, che incoraggiò l’ardita impresa con ricchi premi vada il modesto, ma entusiasta plauso della cittadinanza”.

Tutto questo è particolare fonte d’orgoglio per uno dei padri del Giro, Tullio Morgagni, che è originario di Forlì, dove è prevista la prima stazione di rifornimento. Rimini, invece, è la “location” del primo punto di controllo, dal quale si transita dopo esser entrati in città dal romano Arco d’Augusto. Lo strappetto della Siligata annuncia il passaggio per Pesaro ed un altro salutare bagno di folla.

Il gruppo che marcia compatto in testa alla corsa, alla volta di Ancona, è composto di 34 uomini. Lo guidano Marchesi, Gerbi e Cuniolo, mentre perde contatto per una caduta Amleto Belloni, fratello maggiore del più celebre Gaetano (l’eterno secondo, vincitore del Giro nel 1920).

Ancona è anche il luogo dove è inscenato il primo tentativo di doping della storia del Giro. Un doping “atipico”, non vi è nessuna sostanza proibita in ballo, del quale vi racconteremo con maggiori dettagli nelle prossime puntate, rispettando fedelmente il succedersi e l’annunciarsi degli eventi.

Nel tratto pianeggiante che precede la tortuosa ma facile salita finale, lunga 6 Km, conducono la gara Canepari ed il redivivo Gerbi, che dimostra d’aver superato i problemi accusati nella prima tappa.

L’ascesa della “Colonnetta” è affrontata con piglio vivace. Al passaggio dalla piazzetta della Madonna degli Angeli viene sparato un colpo di cannone per avvisare gli spettatori del sopraggiungere dei corridori. All’uscita dall’ultima curva Ganna e Cuniolo marciano con pochi metri di vantaggio sugli inseguitori. A 100 metri dall’arrivo, previsto in via Asinio Herio, attacca con decisione il corridore piemontese, che al passaggio per Pescara aveva subito un improvviso afflosciamento del tubolare. Incidente rimediato senza perdere tempo prezioso, poiché in quel momento il gruppo era stato fermato da un passaggio a livello abbassato (anche se alcune cronache dell’epoca raccontano che Cuniolo, non avendo avuto il tempo materiale di risistemare la pompa nell’apposito sostegno, abbia affrontato tutta la salita trattenendola tra i denti).

La volata è entusiasmante, Cuniolo vince per due lunghezze mentre Ganna si consola balzando in testa alla classifica. Al terzo posto si piazza il francese Trousselier.

Poi il Giro si riposa in vista delle prime montagne.

Link al commento
Condividi su altri siti

GIRO DEL 1909: ARRIVANO LE MONTAGNE, CENT’ANNI DI SOLITUDINE

Quarta puntata della storia del primo Giro d’Italia. Il 18 maggio debuttano le salite, inaugurando un centinaio d’anni d’imprese solitarie. Il primo uomo solo al comando è il milanese Carlo Galetti, ma il suo tentativo sfuma sulle polverose e “sgarrupate” strade della Campania: raggiunto dalle parti di Caserta, al traguardo di Napoli sarà preceduto di una manciata di secondi da Rossignoli, ma coronerà questa giornata con la conquista della testa della classifica. Fioccano le prime squalifiche, i “furbi” sono già all’opera.

67b7055d3d.jpg

Il 18 maggio è il giorno della prima frazione di montagna della corsa rosa. Si va da Chieti a Napoli attraversando per 242 Km gli Appennini. In programma le tre ascese a Rocca Pia (più celebre come Altopiano delle Cinque Miglia), a Rionero Sannitico ed al valico del Macerone: le prime due sono piuttosto lunghe ma pedalabili, mentre molto temuti sono i 3,7 Km del Macerone, dove ai disagi per il fondo sterrato si sommano quelli dovuti alla pendenza media del 7%. Non s’incontrano ulteriori asperità negli ultimi 100 Km, comunque non meno disagevoli dei precedenti, a causa del pessimo stato nel quale versano le strade campane, scavate da solchi profondi e ricoperte d’uno spesso strato di polvere.

Il raduno di partenza è fissato a Chieti alta ma, per questioni di sicurezza, l’organizzazione stabilisce di abbuonare la pericolosa discesa iniziale. Il via ufficiale è così dato presso la stazione ferroviaria, nel quartiere di Chieti Scalo. Sono le 6.40 dal mattino. Da alcuni minuti tre corridori hanno saputo d’esser stati messi fuori classifica. Sono Granata, Lodesani e Provinciali, gli autori del primo tentativo di doping. Un doping “amministrativo”, definiamolo così, accaduto nella precedente tappa, quando i tre avevano percorso un tratto in treno, tra le stazioni di Ancona e Grottammare, alla quale erano scesi solo perché in quel comune era previsto il secondo punto di controllo che, pena una multa, non si poteva saltare. Per loro immensa sfortuna, però, erano stati notati da alcuni giudici che, non avendo incombenze direttamente relative allo sviluppo della tappa, si stavano velocemente trasferendo da Bologna a Chieti. Mentre Provinciali riprende il treno, stavolta per far rientro a Milano, gli altri due continuano la corsa poiché il regolamento consente ai ritirati - per qualsiasi ragione (incidente, tempo massimo o “reato”) - di portare a termine il Giro, se lo avessero voluto.

A pochi chilometri dalla partenza si affronta un breve e facile strappetto su strade pesanti, antipasto di quello che si dovrà superare più avanti. Già basta per selezionare le retrovie, c’è chi medita di volgere la bicicletta e tornare a Chieti, chiudendo lì la sua corsa. Si rischia l’incidente quando il varesino Domenico Ferrari, nel tentativo di recuperare la pompa che gli scossoni avevano fatto volar via, scarta improvvisamente e quasi va a sbattere contro un muro.

Ai piedi dell’altopiano delle Cinquemiglia il gruppo di testa è composto di 30 corridori, che diventano 35 sulla salita a morbidi tornanti verso Rocca Pia. Tra i primi non sembra esserci grande selezione e questo permette a Ganna di recuperare dopo una foratura. Ci si stacca, ma si rientra con facilità. Dietro, invece, si fa molta fatica: addirittura, il torinese Pesce - secondo piazzato nella tappa bolognese - sviene nell’affrontare la salita verso Rionero. Nella successiva discesa si verifica anche un errore di percorso quando, all’altezza di un bivio non segnalato, alcuni corridori prendono la via sbagliata. È un peccato veniale dell’organizzazione, poiché le due strade si ricongiungono poco più avanti.

Il Macerone si rivela essere un monte cattivo, forse abitato da un dio terribile, che punisce chi osa sfidarlo, com’era capitato ai Giganti che avevano tentato la scalata all’Olimpo... . Quasi nessuno riesce ad affrontarlo in sella, Ganna piange disperato perché la sfortuna gli ha riservato l’ennesima foratura (alla fine saranno quattro), Cuniolo è messo ko: a Isernia, secondo posto di controllo, il piemontese è steso sopra un tavolo, mentre indica il piede destro. Il tendine è partito, il Giro è finito anche per lui.

All’uscita del tratto montano c’è un uomo solo al comando, Carlo Galetti. In un polveroso nuvolone, lo inseguono Rossignoli e, più staccati, Canepari e Celli.

Il tifo delle genti del sud è caloroso, quasi eccessivo. Cougnet è costretto a ricorrere a minacce verbali prima e fisiche poi (compare addirittura una lunga frusta, attrezzo normalmente inserito nell’armamentario dell’organizzatore dell’epoca) per frenare gli entusiasmi.

Galetti è ancora in testa all’imbocco del vialone che dalla Reggia di Caserta porta verso Napoli; in fondo al lungo rettilineo non è più solo, lo raggiungono Rossignoli ed il compagno di squadra Canepari, mentre Celli non ce l’ha fatta.

Avvicinandosi alla città partenopea, alla presenza umana si affianca quella canina. Le strade di Caivano e Casoria, in particolare, pullulano di ragazzi e cani che scorrazzano da tutte le parti. Miracolosamente non avvengono incidenti, mentre il fondo stradale migliora progressivamente.

L’arrivo è a Capodichino. A 300 metri dalla meta Rossignoli guadagna un breve margine di vantaggio, che mantiene fin sul traguardo, nonostante l’estremo e disperato tentativo di Galetti, vincitore morale di questa frazione e nuovo capoclassifica.

Link al commento
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi Subito

Sei già registrato? Accedi da qui.

Accedi Adesso
  • Chi sta navigando   0 utenti

    • Nessun utente registrato visualizza questa pagina.



×
×
  • Crea Nuovo...