D'arkness si era sempre sentito poco attratto dai movimenti spirituali di massa ma dovette ammettere che nel luogo in cui si stava recando si respirava un'aria del tutto particolare. La sacralità del luogo, scandita anche da una natura ancora per larghi tratti incontaminata, sembrava infatti trovare nei movimenti e nelle cadenze delle persone il suo apice, senza eccessi e senza fronzoli; solo con la purezza delle anime semplici. Tali erano infatti le persone che si recavano, in una fila confusa ma unitaria verso il famoso santuario di Częstochowa, lungo il viale costeggiato dai tanti alberi, ora spogli e tetri, ma solitamente così fitti da filtrare la luce del giorno come rosoni di chiesa.
Un grosso cambiamento dalla città di Katowice dove era atterrato con l'aereo poche ore prima, così nuova e moderna da stonare con il resto della nazione, ancora medievale per molti versi, nei tanti piccoli borghi di campagna, così come nelle zone centrali delle grandi città e della capitale.
Il ragazzo da cui D'arkness si era recato, e con cui aveva appena firmato un contratto, non aveva ancora ottenuto grandi risultati ma di lui, soprattutto a livello locale, si parlava un gran bene; c'era già chi lo vedeva campione europeo e poi mondiale.
Speranze che vengono troppo spesso riposte sulle spalle dei ragazzi, alcune volte troppo deboli per reggere tale pressione, ma che questa volta il canadese voleva provare sul campo, convinto da qualcuno che qualche anno prima seppe dargli una scossa, dall'alto di un'esperienza di vita importante, molto simile a quella che i ragazzi di questa nazione avevano vissuto prima di liberarsi dalla morsa di un paese straniero, invadente quanto non mai da quelle parti...