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cameo87

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  1. pure Fignon e le sue mille scuse
  2. 52 minuti comunque la parte più simpatica è quella in cui intervistono Conti ex compagno di Pantani Conti"We,ma quando scatti" Pantani"We,ma quando comincia il Mortirolo" Conti"Veramente siamo già nel tratto duro" Pantani"Si" e poi Pantani scatta un grande
  3. per il Milan va sempre peggio,c'è da rifondare una squadra se no tra due o tre anni si ritroverà a giocare con gli over35
  4. JO-JO JOVETIC che giocatore grazie a lui,Hamsik e Di Natale al Fantacalcio sto andando alla grande
  5. se vuoi rivedere la puntata puoi andare qui nel sito di Sfide http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media...56f064d5d3.html
  6. stanotte chiudo io notte a tutti
  7. ormai vi dovete mettere in testa che si corre alla pari nessuno riesce a fare grande selezione in salita,solo uno può farlo ed è Contador,gli altri chi più chi meno sono lì,nel ciclismo basta un'attimo per cambiare tutto ed Evans ieri è stato bravo a coglierlo inutile fare polemiche su Cunego mica poteva chiudere su tutti da solo!!!
  8. questo mondiale è stato incerto fino all'allungo di Evans basta con polemiche inutili su Cunego,io dico solo una cosa è stato inutile mettersi a tirare(per modo di dire perchè Basso e Pozzato hanno fatto il compitino)al penultimo giro quando i più forti erano tutti lì se si vuole fare una selezione bisogna impostare ben altro ritmo,può darsi che all'ultimo giro con più uomini si chiudeva quel buco creato da Evans,Kolobnev e Rodriguez
  9. sante parole,come ha detto il ct azzuro la discesa è molto pericolasa perchè è stretta quindi chi sta davanti potrà attaccare dato che gli altri si ritroveranno imbottigliati nel gruppo,quindi non diamo nulla per scontato può succedere di tutto!!!
  10. sarà adatto pure a Basso ma se arriva un gruppetto all'arrivo con Basso in volata se lo fanno fritto, mentre con Cunego c'è la giochiamo visto che è dotato di un buono sprint
  11. ma Materazzi ancora gioca a calcio
  12. sti kazaki sono una vergogna,bella story complimenti
  13. sono d'accordo anche io bel match e gran David,mi aspettavo qualcosa di più da Amauri
  14. a dir la verità non lo sapevo mi scuso pubblicamente
  15. questo era regolare,che diamane ieri sera all'inter hanno dato un gol in fuorigioco ma come si fà
  16. treezzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzgoallllllllllllllllllllllllllllllllll lllllll!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!2-2
  17. grandioso prima annullano un gol di iaquinta perchè il ciuffo dei capelli era in fuorigioco e poi Crespo fa il 2a1
  18. iaquinta 1-0 per la juventus
  19. mi sa che in Cm texture devi inserire una nuova cartella metti le iniziali della squadra ed inserisci tutto maglia,casco ecc... nella cartella,non sono sicuro però secondo me dovresti chiedere nella sezione modding di Pcm 09 lì ti sapranno rispondere
  20. cameo87

    Topic Doping

    c'è pure questa parte Il sangue di Bella: la confessione di Jaksche - 2 (seconda parte) Nella Germania dell’Est già negli anni sessanta si facevano esperimenti con il cambio del sangue, il metodo venne però accantonato, poiché ebbe maggiore successo il doping sistematico con anabolizzanti. Fuentes ha raccontato a Jaksche che egli stesso aveva trascorso un periodo nella DDR e si era confrontato con allenatori e medici. È però inverosimile che Fuentes avesse imparato tutto lì, il doping ematico c’era anche all’Ovest. Il quattro volte campione olimpiadi di corsa Lasse Viren risulta un pioniere del metodo dell’autoemotrasfusione prima della corsa, quando si iniettava il sangue che si era tolto prima, durante un allenamento in altura. Da allora il metodo divenne di moda. SPIEGEL: Lei era a conoscenza di altri corridori che si facevano cambiare il sangue dal dottor Fuentes? JAKSCHE: Fuentes era un maestro dell’occultamento. Nessuno dei suoi clienti era a conoscenza dell’altro. Neppure nella nostra squadra non ho mai saputo se altri corridori fossero suoi clienti. SPIEGEL: Lei però non pensava sul serio che Fuentes trattasse lei in esclusiva? JAKSCHE: No, ma Fuentes te lo faceva credere. Un corridore mi ha raccontato poi che Fuentes gli aveva detto che doveva essere pagato un po’ di più per essere trattato in maniera esclusiva. Probabile che Fuentes abbia fatto così anche con altri ciclisti importanti come Ullrich. Per lo meno pagavo meno dei corridori più famosi. SPIEGEL: Come si svolgevano gli incontri? JAKSCHE: Io dovevo aspettare in un caffè nelle vicinanze, a volte solo cinque minuti, altre volte anche due ore. Poi era Fuentes in persona che infilava l’ago. “Devo farlo, se voglio tenere il passo degli altri”. E non erano dilettanti. Merino Batres, l’assistente di Fuentes, conosceva il fatto suo, poiché era stato per circa quarant’anni, a quel che si dice, a capo della banca del sangue di Madrid. Mentre il sangue fuoriusciva, mi ha raccontato come il sangue viene raffreddato e trattato. Il pericolo più grosso era che i batteri entrassero o permanessero nel sangue. Per questo egli poneva molta attenzione all’igiene. Il mio braccio veniva sempre disinfettato con un liquido rosso, come se volesse fare chissà quale intervento medico. SPIEGEL: Il doping al sangue è più spiacevole delle iniezioni di epo? JAKSCHE: Il metodo del cambio del sangue è di per sé nauseante. D’altra parte hai una certezza. Ti dici: “ok, il controllo non mi fa alcun timore. Non sono sostanze pericolose, è il mio stesso sangue”. Per me quello non era un doping, era solo un adattarsi al sistema. Nel 2005 Jaksche venne scelto da Saiz quale gregario del capitano, lo spagnolo Roberto Heras. Al Criterium International nelle Ardenne ottenne il terzo posto e vinse la classifica del GPM. Alla Parigi-Nizza ottenne il quinto posto, una caduta gli impedì un piazzamento migliore. Prima della sua corsa preferita si era fatto reintegrare per la prima volta una sacca di sangue. L’autoemotrasfusione è molto complicata dal punto di vista logistico: Fuentes deve programmare le date per la raccolta del sangue e per reiniettarlo considerando che al corridore viene sempre prelevato solo un mezzo litro di sangue e che il corpo impiega fino a quattro settimane per sostituire il sangue vecchio. In questo periodo il corpo si indeboliva e lo sportivo non poteva correre alle gare. E siccome le sacche di sangue sono utilizzabili al massimo per quattro settimane, ad un corridore viene cambiato il sangue durante tutta la primavera. Al primo prelievo l’atleta dà un mezzo litro di sangue, alla seconda visita quattro settimane più tardi, un litro intero, ma viene rimesso il primo mezzo litro prelevato inizialmente. Così Fuentes ha a disposizione un litro di sangue, ma il corridore ne perde solo mezzo litro. Alla terza visita la stessa procedura: l’atleta dà un litro di sangue, e ne riceve indietro un mezzo litro. Così un corridore aveva sempre due sacche fresche nel frigorifero. Richiede una logistica abbastanza puntuale, soprattutto quando risultano esserci più di cinquanta corridori sull’elenco dei clienti. Anche il trasporto della sacca è complicato: le sacche devono essere tenute al fresco e trasportate in tutta Europa. Poiché in Francia vi è una legge anti doping, Jaksche assunse la prima razione di sangue fresco a Madrid prima della partenza del Tour 2005. JAKSCHE: Era come un cambio d’olio continuato. Inizialmente su di me non funzionò tanto bene, poiché questo togliere e mettere il sangue mi sfiniva. Perciò ne ho ridotto l’utilizzo al minimo, per la Parigi-Nizza e per il Tour de France. SPIEGEL: E come funzionava durante una gara a tappe? JAKSCHE: Qui si esalta la logistica di Fuentes. Egli aveva ovunque i suoi collaboratori: nel 2005 il Tour passò dalla Germania. Quindi io andai all’inizio dell’estate da Ansbach a Bad Sachs, là un certo dottor Choina mi prelevò mezzo litro di sangue. L’8 luglio, Choina venne a Karlsruhe e me lo reintegrò per il resto del Tour. È durato due giorni, fino a quando il sangue riconsegnato non si fosse metabolizzato. Ma così ci si sente semplicemente meglio e capisci subito che riesci a tenere più a lungo in salita, non è che non senti il minimo dolore, ma il limite del dolore si innalza. Questo perché nelle sacche di sangue ci sono molti più globuli rossi di quelli di cui tu hai bisogno per trasportare ossigeno, ci sono ormoni della crescita e testosterone, vitamine e proteine. Funziona come una cura di ringiovamento. SPIEGEL: Il Tour del 2005 fu un Tour di autoemotrasfusione? JAKSCHE: In qualche modo ti rendi conto che quel che fai non è un caso isolato. Mi ero dopato con il mio stesso sangue, ma non era come se avessi una bomba atomica e gli altri lottassero con il machete. Si impara: c’è un nuovo sistema per eludere i controlli. Un problema allo stomaco durante una difficile tappa pirenaica costò a Jaksche l’atteso posto tra i primi dieci. In classifica generale si piazzò sedicesimo, miglior tedesco dietro a Jan Ullrich. Con il Tour, la sua ultima sacca di sangue per quell’anno era stata utilizzata. Corse ancora il Giro della Germania e giunse quarto. A settembre incontrò il dottor Fuentes a Madrid, al campionato del mondo, per pianificare la collaborazione per la nuova stagione. Nel 2006 Jaksche fu in grado di approfittare del nuovo sistema di raffreddamento di Fuentes, un ritrovato che gli americani avrebbero sviluppato per la guerra nel Vietnam. Con questo metodo, il sangue viene centrifugato e poi conservato al freddo, a meno 80 gradi. Il vantaggio, rispetto al vecchio sistema, è che il sangue si conserva per dieci anni. In questo modo si possono lasciare in deposito molte più sacche, rispetto ai primi trattamenti. Durante la pausa invernale, Jaksche si recò regolarmente a Madrid una volta alla settimana. JAKSCHE: Fuentes cadde in disgrazia presso Saiz. Uno dei nostri corridori venne sospeso, nella prima metà della stagione, a causa del valore dell’ematocrito oltre i 50 e accusato di manipolazione del sangue. Da allora in poi non vi fu più alcuna collaborazione della squadra con Fuentes, ma Saiz mi autorizzò a continuare a lavorare con lui, ma privatamente, a mie spese. Così io e Fuentes ci siamo incontrati a Madrid ad inizio 2006: mi disse che dovevo pagargli 10.000 euro per la prima rata. Glieli diedi. Il programma completo con tutti gli annessi e connessi doveva costare 30.000 euro. Non ne abbiamo discusso, il prezzo mi sembrava equo, lui doveva pagare i prodotti, il suo aiutante e il suo rischio. SPIEGEL: Come funzionava il nuovo sistema? JAKSCHE: Io sono sempre andato a rifornirmi a Madrid per le corse. Fuentes veniva per lo più al mattino o alla sera in hotel. Era spesso stressato, perché prima delle grandi corse aveva molto da fare. Nelle dichiarazioni della Guardia Civile è riportato che una volta dovette lavorare settantadue ore di fila. SPIEGEL: Qual era il suo programma per il 2006? JAKSCHE: Per le prime grandi corse di primavera e naturalmente per il Tour de France dovevo ricevere sangue fresco. Era stabilito che prima del Tour io andassi a Madrid e per la seconda parte del Tour il sangue dovesse essere trasportato in Bretagna. Fuentes e Jaksche si sono visti per l’ultima volta la notte tra il 13 ed il 14 maggio, a Madrid, nella stanza 605 dell’Hotel Puerta, là, dove Saiz riuniva spesso la sua squadra. Anche quella sera Fuentes gli prelevò del sangue. Dieci giorni più tardi, il 23 maggio, la polizia spagnola perquisì il laboratorio dell’aiutante di Fuentes, Merino Batres e gli appartamenti di Fuentes in Calle Alonso Cano e in Calle Caidos de la Division Azul. Trovarono più di 220 sacche di sangue e di plasma, oltre a grossi quantitativi di ormoni della crescita, anabolizzanti ed epo. Saiz, il direttore sportivo di Jaksche, e Fuentes furono arrestati mentre lasciavano l’hotel. Saiz aveva con sè 30.000 euro e 28.000 franchi svizzeri in contanti oltre a una borsa termica con 4 pacchetti di Synachten. SPIEGEL: Come poteva pagare Saiz questi soldi a Fuentes, se i due non avevano più alcun contatto? JAKSCHE: Da quello che ho saputo dopo, erano un saldo di Saiz per Fuentes, riferito al 2005. Saiz aveva problemi con un grosso corridore della sua squadra, che all’inizio dell’anno aveva cambiato squadra per approdare alla Liberty Seguros e aveva avuto una pessima primavera. Il corridore e il suo manager, che da cinque anni era anche il mio manager, avevano fatto pressione su Saiz. Volevano un miglioramento nel trattamento con le medicine e Saiz si rese conto di essere in un vicolo cieco: il corridore era costoso, Saiz doveva giustificarsi davanti agli sponsor. SPIEGEL: Potrebbe trattarsi del corridore Alexander Vinokourov e del manager Tony Rominger? Perché lei non fa i nomi? JAKSCHE: Ancora una volta io non voglio tradire alcun corridore. Saiz ritornò da Fuentes a causa di questo corridore e perciò dovette pagare i debiti. Per questo venne tutto a galla. SPIEGEL: Come è venuto a conoscenza lei dell’ispezione e degli arresti dell’Operacion Puerto? JAKSCHE: Eravamo in ritiro vicino a Santander, nel nord della Spagna. Alla sera verso le 18, dopo l’allenamento, l’autista del bus ci disse che Manolo ed Eufemiano erano stati arrestati. Non sapevamo altro. Fu una doccia fredda, ero abbastanza confuso. Come avevano fatto ad essere arrestati? Non sapevamo niente, non sapevamo che fosse illegale ciò che facevamo. Una volta ho chiesto a Fuentes cosa sarebbe successo se fosse stato scoperto dalla polizia con sacche di sangue in auto. Niente, ha risposto lui, perché non c’è nessuna legge che proibisca questo lavoro. Il giorno successivo i giornali erano pieni di titoloni, allora me ne andai. Raggiunsi l’aeroporto di Bilbao e poi casa mia, passando per Parigi. Non sono mai stato più felice in vita mia, di avere passato la frontiera francese. Jaksche, nonostante la paura, disputò il Giro di Svizzera. Era nervoso, aveva perso cinque chili. Vinse Ullrich, secondo fu lo spagnolo Koldo Gil e terzo proprio Jaksche. Nella foto sul podio appare dimagrito, pesava al massimo 65 chili. “Mi vedo veramente male”, disse Jaksche. Alla vigilia del Tour de France, un giornale spagnolo pubblicò una lista di 37 clienti del dottor Fuentes, che erano stati trattati con il suo metodo. C’erano i due favoriti del Tour, Basso e Ullrich, e anche Jaksche. Ullrich e il suo compagno di squadra Oscar Sevilla, cosi come il direttore sportivo Rudy Pevenage, vennero sospesi dalla T-Mobile. I risultati dell’inchiesta della Guardia Civil furono divulgati. JAKSCHE: Le dichiarazioni sui metodi comparivano solo in parte. Il nr. 20, per esempio, apparteneva fino al 2005, ad un altro corridore. Gli investigatori spagnoli pensarono che io fossi nascosto sotto il nome di “Jorge”, il che non è vero e inoltre si è mostrato che non esiste nessun materiale filmato di me. La polizia spagnola trovò un biglietto da visita del dottor Merino Batres, l’aiutante di Fuentes. Batres ha più di 70 anni, è un po’ “senile”. Ad ogni incontro si presentava nuovamente e ogni volta raccontava di andare a sciare in Tirolo. Era così confusionario che i nomi in codice e i numeri relativi probabilmente aveva dovuto segnarli su un biglietto da visita e questo venne rinvenuto durante la perquisizione. Non voglio aggiungere altro, ma va detto che la polizia spagnola ha lavorato in maniera strana, singolare, disordinata, poiché volevano scovare a tutti i costi molto velocemente qualcosa prima del Tour. SPIEGEL: Si è meravigliato di tutti coloro che erano sulla lista? JAKSCHE: Sì. Ma mi ha meravigliato di più chi non c’era sulla lista, visto quel che sappiamo ora. Ci sono anche versioni diverse di questa lista, all’improvviso sono scomparsi dei nomi nomi. C’è stata una selezione. Alla fine c’erano solo i nomi della mia squadra, la Liberty Seguros, e un paio di grossi nomi, come Ullrich o Basso. SPIEGEL: L’Uci afferma che ci sia solo questa versione della lista. Il corridore spagnolo Valverde, per fare un esempio, manca da questa lista. Nel deposito refrigerato di Fuentes fu rinvenuta una sacca con il nome in codice “VALV (PITI)” nella quale furono trovate tracce di Epo. Piti è il nome del cane pastore di Valverde. JAKSCHE: Nome, nome in codice, sacca del sangue e sacca di sangue con epo, questo è il mega disastro. SPIEGEL: Ma perché qualcuno doveva salvare Valverde? JAKSCHE: Dietro di lui ci sono interessi sportivo-politici, perché è la grande speranza del ciclismo spagnolo. SPIEGEL: E Jan Ullrich? JAKSCHE: La cosa non mi ha meravigliato, non l’avrei fatto neppure se il Re della Spagna fosse stato sulla lista... SPIEGEL: Può immaginarsi un altro motivo per cui ci fossero sacche di sangue nella credenza refrigerante di Fuentes, al di là del discorso doping? JAKSCHE: Al massimo per la corrida. SPIEGEL: Eufemiano Fuentes da allora si è più fatto vivo con lei? JAKSCHE: A settembre, quattro mesi dopo l’Operazione Puerto, ricevetti un sms da Fuentes: “Hallo, ecco un tuo vecchio amico, fatti vivo, una volta”. Abbiamo parlato per due o tre minuti. Era calmo riguardo al suo futuro, ma si è anche scusato, perché sapeva in quale situazione io mi ero venuto a trovare. Dopo l’Operazione Puerto la Liberty Seguros, lo sponsor della vecchia squadra di Jaksche, si ritirò. E lui si trovò improvvisamente disoccupato. Negò qualsiasi tipo di coinvolgimento, ma i tentativi di trovare una nuova squadra andarono a vuoto: l’Uci non aveva le prove per squalificarlo, però nessuna delle grandi squadre lo voleva assumere, perché gli organizzatori delle grandi corse non volevano nessun corridore della lista Fuentes. Quando, a marzo, in un’intervista rilasciata ad un’agenzia di stampa, Jaksche parlò di ritiro, si fecero vivi velocemente tutti i manager e direttori sportivi della sua carriera: Stanga, Riis, Saiz. JAKSCHE: Girava la voce che io parlassi e questo preoccupava molto. Riis ad esempio mi disse che non poteva aiutarmi, che non poteva proprio fare niente per me. E disse che gli dispiaceva. Tutti dicono che il ciclismo sia mafioso, ma questo paragone non calza. La mafia si interessa della propria gente, delle loro famiglie. Quando uno è in difficoltà, non deve farsi problemi. Se il ciclismo fosse una mafia, dovevano dirmi: fermati un anno e poi ti facciamo rientrare noi con un buon contratto. Ma il ciclismo non è mafioso, il ciclismo è senza scrupoli. Da due mesi e mezzo Jaksche ha una nuova squadra, quasi per grazia ricevuta. La Tinkoff, appartiene al banchiere russo Oleg Tinkov, è una squadra di seconda divisione, che non è invitata al Tour de France. Jaksche ha il contratto minimo per un ciclista professionista: 37.500 euro. Ha potuto correre solo un paio di piccole corse, ha vinto il Giro di Lorena a tappe e alla Bicicletta Basca è stato secondo. Jaksche dice che non assume più sostanze dopanti. Durante il nostro incontro all’hotel Universo di Lucca, Jaksche parla per otto ore. E nel pomeriggio suona il suo cellulare. È Gianluigi Stanga, il team manager della Milram. Il ciclismo è un mondo piccolo, nel quale le voci si diffondono velocemente. Da settimane ormai Jaksche riceve minacce. Stanga ha sentito dire che Jaksche ha cominciato a parlare. La telefonata ha un tono amichevole, calmo. Stanga ha buone maniere, si potrebbe dire che consoli Jaksche con la speranza che presto passi tutto ciò che riguarda la Operacion Puerto e ritorni la tranquillità. Dice anche che tutti i direttori sportivi fra poco si vogliono unire per chiedere un’amnistia, in modo che i corridori “di Fuentes” possano tornare a correre. Soltanto le squadre tedesche Gerolsteiner e T.Mobile chiedono mano pesante per l’Operacion Puerto. Stanga non lo minaccia, Jaksche non ha altro da perdere. Nelle due settimane trascorse dall’incontro di Lucca, Jaksche ha ricevuto più di quaranta chiamate. Direttori sportivi, massaggiatori, corridori:, non sono in molti a sostenerlo, un paio lo minacciano, dicendogli che non ci sarà più spazio per lui nel ciclismo. Ma nonostante ciò, Jaksche si allena sei ore al giorno, ogni giorno. JAKSCHE: Questi sono i momenti nei quali si riflette. E ci si chiede se la decisione di parlare sia stata giusta o meno. So che la mia decisione può avere conseguenze molto importanti. Ho paura di questo e ancora dubbi. Io mi sono trovato bene con Bjarne, Stanga e gli altri, non voglio arrecare loro danni. Bjarne ha investito quest’anno 500.000 euro nel sistema antidoping della sua squadra, la CSC, e sono soldi suoi, non come alla T Mobile, dove i soldi sono della società. SPIEGEL: Perché Riis ha scelto per primo questa strada? JAKSCHE: Perché ha capito che si deve cambiare qualcosa, altrimenti lo sport va in malora. Naturalmente questa è una decisione nettamente economica, naturalmente guadagnerà altro denaro con la sua ditta. Ma erano econimiche anche le basi che lo portarono a doparsi a suo tempo: soltanto chi usava il doping vinceva. Solo chi vinceva, diventava famoso. Solo chi era al centro dell’interesse dei media, rendeva felici gli sponsor. Solo gli sponsor investivano nuove risorse per l’anno successivo. SPIEGEL: Riis si è messo in contatto con lei anche nei giorni scorsi? JAKSCHE: Sì, è stato molto gentile, molto cordiale. Aveva sentito che avevo parlato con Der Spiegel e voleva sapere se era vero. Gli ho chiesto: perché mi chiami adesso? Quando ero senza lavoro, non mi hai contattato. SPIEGEL: Signor Jaksche, lei ha taciuto e mentito per dieci anni sul tema del doping. Perché parla ora? JAKSCHE: Credo sia importante per il futuro di questo sport che qualcuno dica: ok, funziona così. Un giorno io busserò alla porta di un direttore sportivo in occasione di una grande corsa e dirò: “volevate lasciarmi per strada, ma sono ancora qui”. Naturalmente nessuno mi ha tenuto fermo il braccio per farmi le iniezioni, ma i direttori sportivi che prima ti avevano preparato e ti avevano insegnato la cosa, si comportano improvvisamente come se fossero tutti a favore di un ciclismo sano. SPIEGEL: Perché lei si è dopato? JAKSCHE: A prima vista il ciclismo non è bello. E per farlo si fa fatica. Lo sport in generale si fa con molti dolori, dolori fisici, ferite e l’allenamento è il tentativo di migliorare la tua forze, la capacità di resistenza, per arrivare a valori ai quali non sei abituato. Per non sentire dolori forti all’inizio si ricorreva al cortisone, poi all’Epo e oggi al sangue fresco. Il ciclismo è uno sport pesante. Nel calcio giochi bene novanta minuti e sei subito un mito, nel ciclismo devi dare il massimo in novantanove corse su 100 e hai poco seguito. SPIEGEL: Avrebbe continuato a doparsi se non fosse stato sulla lista di Fuentes? JAKSCHE: Sì, probabilmente lo avrei fatto, poiché sono egoista. Ogni persona normale dovrebbe dire: “non si può continuare così, perché in questo modo tutti gli sponsor se ne vanno”. Ma se non fossi stato su quella lista e mi allenassi come un matto, non avrei nessuna chance senza doping. Quando sai che il ciclismo non è cambiato alle fondamenta, allora devi fare qualcos’altro. È perverso ma il sistema doping è questo, perché tutti si dopano. Il ciclismo senza doping sarà possibile solo quando nessuno si doperà più. Un corridore mi ha raccontato che, a causa dei controlli a sorpresa, un paio di squadre e la federazione mondiale avrebbero preso “accordi”. Quando me lo ha raccontato, era fiero. Allora ho capito che niente era cambiato. Lo scorso giovedì Der Spiegel ha raccolto le prime reazioni alle ammissioni di colvepovelezza di Jaksche. Il primo a reagire è stato Stanga, che ha spedito un fax dall’Italia: “le affermazioni di Jaksche sono completamente contro i miei principi e le mie competenze professionali”. L’ex team manager della Telekom, Godefroot ha negato decisamente qualsiasi coinvolgimento e di aver portato prodotti dopanti alle corse. Dice di essersi attenuto esclusivamente alle nuove leggi francesi, secondo le quali solo le medicine provenienti da farmacie francesi, prescritte da medici francesi, siano legali. Di fronte al doping dichiara: “tolleranza zero”. L’avvocato difensore del medico Markus Choina, uno degli aiutanti del dottor Fuentes in Germania, ribatte alle accuse dicendo di non aver mai utilizzato metodi illeciti. “Appena la pratica completa verrà messa a disposizione della difesa, risponderemo in modo adeguato”. Tony Rominger, manager di Vinokourov, dice al telefono: “Non ho mai fatto pressioni per favorire pratiche doping e non ho mai spinto i miei corridori a farne uso”. Il corridore tedesco Jens Voigt scrive che le rivelazioni circa il nascondiglio del doping della sua squadra durante lo scandalo del Tour 1998 non le ha fatte lui. I corridori Vinokourov e Valverde hanno sempre negato qualsiasi conivolgimento con il doping. E anche Bjarne Riis contesta a parole tutti i fatti narrati da Joerg Jaksche. Solo una cosa ha confermato: la chiamata fatta a Jaksche due settimane fa, dopo aver sentito su una possibile confessione su Der Spiegel. “Sì, è vero - scrive Riis - ne abbiamo parlato”. Saiz l’ex direttore sportivo di Jaksche, il medico spagnolo Fuentes e i due medici di Friburgo Heinrich e Schmid finora non hanno commentato le dichiarazioni di Jaksche.
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