Froome, il marziano del Kenya
Lo ha fatto fuori come un birillo, scattandogli in faccia e lasciandolo sui pedali quasi si trattasse di un modesto cicloamatore. Mancano poco più di sette chilometri alla cima del Monte Calvo che chiude la seconda settimana del Tour e la smorfia sul volto di Alberto Contador è il segnale della resa definitiva. Ci ha provato il due volte vincitore della Grande Boucle ma il "marziano" del Kenya ha chiuso la porta a doppia mandata. Vittoria di tappa e distacchi ancora più profondi in classifica per gli avversari, il primo dei quali, il belga Mollema, sorpresa di questa edizione, è ormai oltre i 4 minuti. Da oggi si corre definitivamente per il secondo posto. Ecco il verdetto del Mont Ventoux 2013.
Un verdetto strabiliante non tanto per l'esito scontato della tappa: che Froome fosse il più forte in assoluto in salita lo si era già visto. E lo stesso keniano bianco l'attacco lo aveva promesso al termine della tappa di Saint Amand Montrond, in cui Contador e gli altri lo avevano messo in difficoltà sfruttando il vento e i ventagli. Ma per il modo. Accelerare violentemente quando si marcia quasi ai venti all'ora su una salita che presenta pendenze superiori al 10% (la media sui 20 chilometri è del 7,5%) frullando i pedali a ritmi superiori alle 100 pedalate al minuto quando si è pedalato a quelle frequenze per oltre 5 ore e mezza e stracciare letteralmente tutti gli avversari più qualificati e piegare alla fine anche la resistenza dell'ultimo colombiano di turno, il promettente Quintana,
è qualcosa che a memoria di suiveur non si era mai visto.
Si è visto tanto Chris Froome, troppo forse per non suscitare dubbi e tentennamenti anche nei tifosi più appassionati emersi in modo massiccio sui socialnetwork. Troppo forte, troppo veloce, troppo rapido nel recupero, troppo Froome per crederci. Il ciclismo paga la fiducia tradita dai suoi stessi eroi. Molti tifosi non credono al nuovo idolo che in tre anni è passato da nulla alla vittoria al Tour. Tifosi scettici perché traditi troppe volte. Con la complicità di tutto l'ambiente (dirigenti, tecnici, medici, media, ecc.). Dal 1998 in poi non c'è stato anno senza un grosso scandalo. Tutti i più grandi atleti del pedale hanno avuto in un modo o nell'altro a che fare con problemi e/o vicende doping.
Meravigliarsi se adesso la gente si stropiccia gli occhi quando vede Froome partire come una motocicletta sulla montagna, il mitico Ventoux, tutt'altro che un cavalcavia? Questa salita ha segnato gloria, sofferenza e morte nel ciclismo. Su quelle abbacinanti pietraie è morto Tom Simpson, il famoso baronetto inglese, una delle primissime vittime dell'uso e abuso di sostanze eccitanti nel ciclismo. Su quella dannata striscia di asfalto si sono dati battaglia gli "eroi" più amati (Pantani) e quelli più fasulli (Armstrong). Ma nessuno si è esibito nel modo e nella forma dell'inglese leader della Sky, che ovviamente continua a sbandierare la sua pulizia assoluta. Ma c'è di più. Oltre alla strapotenza personale, Froome si è potuto avvalere questa volta di un Porte all'altezza delle prime tappe. L'australiano ha fatto piazza pulita di tutti gli altri contendenti del compagno di squadra con un ritmo asfissiante. Quando si è messo in testa al gruppetto della maglia gialla (avanti c'erano in un generoso tentativo il colombiano Quintana e lo spagnolo Nieve) solo saltati tutti come birilli: Mollema, il secondo in classifica, Kreuziger, il prestigioso compagno di Contador, lo spagnolo Rodriguez, l'australiano Evans. Solo Contador ha resistito a fianco del caracollante inglese.
Che quando mette la testina di lato quasi a guardare di sottecchi l'avversario e a simulare fatica, è pronto per la stilettata mortale. Ai meno 7 una violentissima accelerazione dell'anglo keniano mette fuori causa anche il due volte vincitore del Tour. Che pagherà il "fuorigiri" con un ritardo al traguardo di 1'22". Tanto, troppo Froome. Che poi aggancia Quintana solitario in avanscoperta. Vuole vincere e prova a staccarlo. Ci riesce al primo tentativo: con una progressione strabiliante e un furioso mulinare di gambe. Ma poi rallenta un attimo e il colombiano, che è abituato alle lunghe salite, rientra. Ci riprova ancora finché l'avversario a poco più di un chilometro dalla vetta cede. Tanto, troppo Froome. E c'è da chiedersi che razza di fibre muscolari abbia il leader della Sky in quelle gambette esili e sottili come grissini; resistenti per tenere ritmi aerobici impossibili per tanti altri corridori di pur elevato livello, tecnica e "tecnologie" d'aiuto varie. Ma anche veloci per imprimere accelerazioni violentissime. E che razza sistema cardiocircolatorio e di consumo di ossigeno (VO2max) per frullare le gambe a quei ritmi: oltre le 100 pedalate al minuto per quasi un'ora su quelle pendenze e a termine della tappa più lunga del Tour: 242 chilometri. E quale capacità di "bruciare" l'acido lattico che nella normalità dei casi si produce nelle accelerazioni violente per ripetere a breve distanza gli scatti. Insomma, al di là dei calcoli di stima ci sono dei punti da chiarire.
VAM, velocità ascensionale media, Watt medi, ecc., sono anch'essi al livello se non meglio dei corridori più dopati del passato. E qui riemerge la solita domanda: può un non dopato fare tecnicamente meglio di un dopato dichiarato? Se la risposta è si, qualcuno ci deve spiegare il come. Froome ha chiuso gli ultimi 15 chilometri (con i terribli ultimi tre quasi verticali) in 47'40; Armstrong aveva concluso in 48'30. Quasi un minuto in meno del texano che ha confessato il suo doping. Per questo sosteniamo da tempo che il keniano bianco farebbe bene a mettersi a disposizione della scienza per farsi analizzare, per spiegare anche alla gente comune, all'inclita e al volgo, se e come l'attuale fisiologia possa dare una risposta a tutti questi dubbi. Un suggerimento che diventa un dovere per aiutare il ciclismo ad uscire dall'atmosfera di bubbi e sospetti in cui anni di doping selvaggio lo hanno precipitato. L'imbarazzo è grande anche per i tradizionali "cantori" delle imprese del pedale, quelli che per loro Armstrong era un "eroe che ha sconfitto il cancro, dunque non può doparsi"; quelli come il n.1 di rai Sport, Auro Bulbarelli che è riuscito nella sua carriera a fare una intervista di una decina di minuti a Michele Ferrari, il "consiglieri" del doping di Armstrong, senza fargli una domanda una sui processi che all'epoca il chiacchieratissimo medico aveva in Italia.
E ora si dicono "dispiaciuti" che la gente e i tifosi nutrano dubbi sulle "imprese" dei corridori. Hai voglia a dire che ci sono i controlli. C'erano anche con Armstrong. Ma questo non gli ha impedito di doparsi. Hai voglia a dire che c'è il passaporto biologico. Ma è gestito all'interno del movimento sportivo, dunque condizionato anch'esso dagli interessi che governano tutto lo sport di primo livello. Hai voglia a dire che ti beccano se prendi l'epo, quando sono numerose le alternative (pratiche e sostanze che non figurano nella lista vietata). Anche per spazzare vita tutto questo Froome dovrebbe offrirsi alla scienza. Una bella serie di test e analisi fatta da uno staff indipendente, magari per riscrivere la fisiologia conosciuta. Lo farà mai?
Fonte: repubblica.it
Mi sembra un bell'articolo che faccia bene il punto della situazione.