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Le peripezie di Du(ri)val


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Parlarono poco, anche perché in quel bar proprio non ci volevano rimanere altro tempo. Dovettero solo puntualizzare qualche altro punto dubbio, quindi l'uomo della WADA digitò qualche numero sulla tastiera del cellulare e comunicò alla volante ciò che andava fatto. A non molti km, ormai la Nuova Cinquecento di Glen stava per varcare la soglia del casello , e immettersi sull' autostrada che l'avrebbe portato in spiaggia. Versò gli spiccioli dovuti nelle mani del custode, ma la sbarra non si alzò. Glen e i suoi amici, notando il ritardo, presero a protestare animosamente, battendo forte i pugni contro i finestrini dell'auto prima, e la vetrata del casello poi. Ma niente, il custode li fissava imperturbabile, con un volto allo stesso tempo pietoso e disgustato verso il destino sporco e la vita esageratamente trasgressiva di quei giovani. Chissà quante volte gli è venuta voglia di abbassare la leva e lasciarli passare, giusto per toglierseli davanti, perché all' una di notte, è un po' troppo chiedere certi sacrifici ad un casellante autostradale. Eppure gliel'avevano chiesto, ed adesso lui doveva sopportare le urla e gli insulti di quegli scalmanati, oltre che le sempre più frequenti sonate di clacson degli automobilisti in coda. Finalmente, dopo circa dieci, interminabili minuti, giunse la volante da cui era provenuto l'ordine di fermo. Parcheggiarono nell'ultima posizione della fila, quindi scesero rapidamente dalla volante e si affrettarono sulla Cinquecento. Intimarono a tutti di scendere, ed in fretta, e li voltarono di faccia sul cruscotto. Uno degli uomini aprì il portabagagli, vuoto, ma quando si rivolse al superiore sventolò due grosse sacche di liquido, il superiore le afferrò e lo agitò sotto il naso di Glen

"Ma guarda un po' qui, cosa ci fa certa roba nel portabagagli di un Ds?"

"Ma cosa caz...che roba di mer*a è? Da dove caz*o viene?"

"Ah, chiede da dove viene chiede..."

"Non ce l'ho messa io, non ce l'ho messa io, caz*o! Lucià mica ce l'hai messa tu sta roba?"

"Ma io? Non so manco che minch*a è io!"

"Oh Glen, ora mi stai davvero rompendo le palle. La commedia la fai davanti il giudice, davanti alla squadra, davanti a chi caz*o vuoi, ma davanti a me no. Sennò finisci in galera, e pure con due costole rotte..."

Li infilarono quindi nella volante, erano terrorizzati, ognuno era sicuro di non averla messa lui quella roba lì dentro, ma allo stesso tempo non poteva non sospettare degli altri. Nessuno si chiedeva però, come mai quel poliziotto avesse riconosciuto a primo acchito Quagmire, come mai una volante si era fiondata proprio su di loro, avvisando per giunta il casello. Sul momento, non ne ebbero proprio l'occasione...

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Finalmente Andrew giunse a valle, slacciò con estrema calma, come faceva sempre, gli attacchi del suo snowboard, prese in mano la tavola e con un delicato gesto tolse la neve che si era attaccata sulla base inferiore.

Si guardò intorno, il sole stava già tramontando dietro le imperiose vette del Brenta, che sono famose in tutto il mondo, per i suggestivi torrioni di roccia, che all’alba e al tramonto si tingono di un caratteristico colore rosato.

Andrew scrutava quel magnifico spettacolo, accennando un piccolo sorriso sulle labbra; era una scena che scioglieva il cuore, ma ad Andrew tutto ciò non suscitava molte emozioni positive, anzi faceva riemergere in lui un barlume di malinconia verso i tempi passati.

Si volto e prese a camminare verso un vecchio stabile, che veniva per lo più usato come deposito di macchinari o utensili del comune; il passo era deciso e veloce, ma lasciava trasparire una certa frenesia e un certo nervosismo che ad Andrew non erano mai appartenuti, si percepiva qualcosa di nuovo nell’ aria…

Giunto allo stabile aprì la grande porta ormai arrugginita e vide all’ interno Beppone intento a riparare il suo gatto delle nevi.

Era un ragazzo che alcuni definirebbero buono come il pane e che in effetti nonostante la sua stazza non avrebbe fatto male ad una mosca; alcuni lo chiamavano in modo dispregiativo “Coccione” per via della sua testa che era oggettivamente un po’ sproporzionata rispetto al resto del corpo che si presentava comunque molto robusto, ma lui non se ne curava più di tanto e sopportava queste lingue biforcute.

“Ueilà, Bepi come stai?

“Ben, ho appena ades finì de meterte apost el motor dal gato della nef”

“Bene, che problemi aveva?”

“Na candela rota , l’ho cambiada con una nuova che i ma dat quei dalla fabbrica giù là”

“Ok, allora parto”

“Ma non vegnet giù stasira alla sagra dalla polenta”

“No, non mi va, preferisco starmene da solo”

”Sempro da sol, vabbè mi vo”“Ok, ciao”

E così Andrew salì su quella vecchia carretta che ormai gli dava da vivere e risalì pian piano il pendio togliendo la neve in eccesso dalla pista, cosicché il mattino seguente i turisti avrebbero potuto sciare senza difficoltà.

Il buoi ormai scendeva sulla valle e il silenzio veniva spezzato solo dall’ abbaiare dei cani o da qualche ululato di lupi, tutto era deserto intorno ad Andrew, tutto era calmo, tutto era al suo posto, ma d’ un tratto…

D’ un tratto il cuore batte come impazzito, lo stomaco si contorce, il fegato s’infiamma, le vene si gelano, le orecchie fischiano, gli occhi si bloccano rivolti verso un unico punto; guardano là, sotto, vicino a quell’albero dove giace per terra un uomo in fin di vita.

Era successo tutto in pochi attimi, la nebbia oscurava la vista, un rumore stridulo uscì dal cofano motore, il gatto delle nevi diventò incontrollabile e poi e poi lo schianto contro un uomo che per colpa di chissà quale scherzo del destino si trovava lì.

Andrew non ebbe esitazioni scese subito dal mezzo che guidava e si affrettò ad aiutare l’ uomo a terra.

Gli usciva sangue dalla bocca, si toccava il torace, aveva sicuramente qualche costola fratturata, ma dallo stato in cui si trovava sicuramente doveva aver subito molte altre fratture.

Furono chiamati subito i soccorsi ed Andrew si ritrovò sull’ ambulanza che portava lo sventurato all’ ospedale.

Il futuro per lui era sempre più buio e il suo strazio era nuovamente aumentato, quell’uomo poteva morire ed Andrew, nonostante l’ incidente non fosse scaturito totalmente per colpa sua, non se lo sarebbe mai perdonato.

Teneva stretta la mano di quell’uomo cercando di infondergli la forza per sopravvivere, anche se nemmeno Andrew aveva più la forza di andare avanti, era ormai un uomo morto…

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Nella volante che sfrecciava per Firenze a sirene spiegate, come se stessero trasportando chissà quale detenuto d'eccellenza, isolati dal resto della città dai vetri anti-proiettile, pressati in quattro su tre posti, quasi soffocati dalla pesante aria senza ricambio della vettura, non volò una, sola, sussurrata, stentorea o timida parola, neppure una. Raggiunto il Penitenziario, l'auto si arrestò di botto e i due ufficiali scesero rapidamente dall' auto affrettandosi ad aprire le portiere posteriori, da cui trascinarono fuori i Glen e gli altri tre. Dall' edificio uscirono altri due poliziotti che presero sottobraccio Glen e un altro suo amico, e aiutarono i due colleghi a portarli dentro, neppure se stessero opponendo chissà quale resistenza o si fossero dimostrati riottosi.

"Stanotte dormite qui, domani si vede"

Comunicò freddamente, senza alcun' emozione che fosse di sdegno o di concitazione, colui che doveva essere superiore di grado a tutti gli altri. Le carceri del Penitenziario erano piccole, e potevano contenere al massimo due detenuti l'una. Glen venne invece rinchiuso in una cella singola, dalle sbarre bianche e così angusta da non poter neppure scendere comodamente dal letto, se non si volevano sbattere i calcagni sul lavandino. Appena il metallico sfregio delle chiavi lo blindò in quella stanza, si sedette sul pavimento, forse più pulito del letto, con la testa nelle mani. Per la prima volta dopo due anni, per la prima volta dall' "attentato a Savoldelli", si sentiva di nuovo solo, come un cane randagio perso su una mulattiera, ma chissà quanto avrebbe dato per tornare ad essere solo ma famoso, e soprattutto libero, come in occasione dell' affaire che sconvolse il Giro 2006, invece che solo, recluso e dimenticato da tutti come adesso. C'era forse qualcuno a cui ancora il nome "Quagmire" dicesse qualcosa che non c'entrasse coi cartoni animati? C'era forse qualcuno che dopo il ritiro silenzioso, misterioso e ovattato della Festina dalla Parigi-Nizza e dal Pro-Tour si ricordasse del suo staff? Forse neppure i suoi stessi corridori, che non avevano tardato a trovare una nuova sistemazione e la cui partecipazione al progetto Festina non era segnata neppure negli almanacchi. Lui invece sì, si ricordava. Pensava a che fine avesse mai fatto il suo collega Mick, se si trovasse al bordo di un marciapiede elemosinante oppure sguazzasse nel denaro vinto al gioco, pensò a La Sega che, sicuramente, era ancora chiuso nel suo studio a creare l'articolo del giorno successivo, pensò a Zulle e Virenque, a Gaucci e Cecchi Gori. Uno scarafaggio gli sfilo davanti sgambettando rapidamente, Glen, schifato, lo scalciò via. Un flash gli abbagliò il cervello dopo quel gesto. No, non poteva essere...

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L’ ambulanza barcollava con le sirene spiegate per le anguste vie di montagna di quella splendida valle.

L’ uomo che aveva investito stava pian piano riprendendo conoscenza, come un fiore quando sboccia in primavera, stava tornando alla vita dopo il lungo inverno.

Era ormai fuori pericolo, Andrew fece un sospiro, poi un altro ed un altro ancora, si era tolto un peso dallo stomaco che fino a qualche minuto prima lo opprimeva, lo schiacciava, lo lasciava senza respiro, come se stesse per morire.

L’ uomo aprì gli occhi, era molto scosso; sbatté velocemente le palpebre più volte, cercò di muovere la testa senza successo, aprì la bocca come se volesse sussurrare qualche parola con un filo di voce, poi d’ un tratto cacciò un urlo che per poco non spaccò i timpani di Andrew.

Gli avevano fatto una semplice puntura al polso, ma evidentemente non era stata quella puntura a provocargli tutto quel dolore, ma a provocare ciò era stata la paura, la paura di essersi fatti male, la paura di stare male, ma soprattutto la paura di morire.

Quell’ uomo doveva aver visto la vita sfrecciare via come un treno che a velocità supersonica ti passa davanti, senza che tu possa dire qualcosa, possa fare qualcosa, possa cambiare il tuo destino.

E poi tutto si ferma, è l’ istante più brutto, vedi là davanti a te la morte che ti viene a prendere che ti porta via, che recupera la preda colpita in precedenza.

Non tutti hanno la forza e il coraggio di affrontarla, ma quell’ uomo sì; riuscì a riavere la sua vita e non solo salvò la sua esistenza, ma anche quella di Andrew che per alcuni interminabili lunghi minuti aveva vissuto come un morto-vivente.

Il fluttuare di pensieri e ricordi nella mente di Andrew fu subito interrotto dalla voce decisa dell’ infermiera che con molta pacatezza chiese al nostro giovane se avesse potuto intrattenere il paziente, affinché ella potesse lavorare seneramente.

Andrew non sapeva più cosa dire, tutte quelle emozioni lo aveva stroncato, riuscì solo a sussurrare qualche parola all’ orecchio dell’ uomo disteso sull’ lettino.

“Come ti chiami?”

“Javier Echeberria” gli rispose fiero l’ uomo, che parlava un italiano con un accento particolare

"Ah, uno spagnolo, è il primo che conosco”

“Ma che caxxo dice! Io non sono spagnolo, sono un Basco!” gli replicò con impeto

“Vabbè circa la stessa cosa, no?”

Con un repentino cambio di voce e di umore riprese a parlare“No, ti sbagli, se vuoi ti racconto la storia del mio popolo?”

Si, certo mi farebbe molto piacere”disse Andrew mentendo, poiché il suo intento era solo quello di fare un favore a quella infermiera che già gli aveva mandato alcuni sguardi provocanti.

Come un cantastorie l’ uomo iniziò a raccontare:

“Noi Baschi siamo il popolo più antico d’ Europa, discendiamo dagli uomini che nel Neolitico abitavano i Pirenei. La nostra lingua si pensa possa discendere da lingue caucasiche, difatti una leggenda narra che un ex ufficiale russo di discendenza georgiana, di passaggio in Euskadi, riuscisse a farsi capire dai Baschi parlando nella propria lingua.

Ma io penso siano tutte frottole, la lingua basca è nata nei Pirenei e da sempre viene parlata da noi che siamo un popolo fiero, orgoglioso del proprio retaggio, noi non siamo discendenti di nessuno, siamo solo Baschi e siamo fieri di esserlo.

I nostri antenati erano dei temibilissimi gudaris (guerrieri) che nel 788 inflissero a Carlo Magno una clamorosa sconfitta a Roncisvalle, in Navarra, ove venne ucciso Rolando; dalla stessa stirpe di guerrieri discende il terribile conquistador Lopez de Aguirre, soprannominato “furore di Dio”.

Gli antichi euskaldunok si distinguevano anche per la loro grande abilità nella pesca: nel secolo XVI, nessuno in Europa poteva competere con quelle anime rudi però generose, che solevano avventurarsi fino alle coste di Terranova.

Siamo stati noi a combattere per primi la guerra per la riconquista spagnola, per ridare a quelli che una volta consideravamo fratelli, la loro terra natia ed invece loro per ricompensa per secoli c’hanno isolato e sottomesso.

Siamo stati noi per primi a schierarci con forza e decisione contro il dittatore Franco, c’hanno raso al suolo una città, per decenni abbiamo subito umiliazioni, ma abbiamo resistito tutti uniti ed ora, ora siamo un popolo quasi libero, unito sotto un'unica bandiera, ideata dal grande Sabino Arana sovrapponendo la Croce di Sant’Andrea e la Croce Bianca della Cristianità su campo rosso, colore della Bizkaia.

Siamo un popolo unito che parla la stessa lingua.

Non siamo spagnoli, siamo Baschi!!!”

Andrew rimase con la bocca aperta, stupito dal racconto dell’ uomo, non pensava esistessero veramente i Baschi, pensava che fossero degli spagnoli che per qualche secolo avevano vissuto separati da altri spagnoli, ed invece quello era un popolo vero, fiero del proprio passato, legato alle proprie tradizioni, che aveva sempre lottato per i propri ideali e per i propri diritti.

Le sirene dell’ ambulanza si spensero, il mezzo si fermò e in pochi secondi Andrew era nella sala d’ attesa dell’ ospedale.

Era nervoso, si mangiava le unghie come se la grinta che lo aveva sempre contraddistinto fosse sparita.

Non era più lo stesso era un uomo nuovo con una grande voglia di vivere, con i suoi pensieri, le sue paure e i suoi desideri che difficilmente si sarebbero avverati.

Uscì dalla stanza un infermiere, disse ad Andrew che il paziente dove essere trasportato in elicottero a Firenze in una clinica specializzata, dove un primario di fama mondiale lo avrebbe operato.

Gli chiesero se voleva seguire quell’ uomo e lui acconsentì.

L’ elicottero si levava in volo in quella buia e tenebrosa notte, le luci della cittadina di Trento abbagliavano gli occhi del nostro giovane, tutt’ intorno i monti, i suoi monti e quel cielo stellato sopra la sua testa.

Fu così che Andrew in quella fredda notte diede l' addio ai suoi cari monti…

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