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[PCM 2011 Story] I did it my way


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Il loro primo incontro non fu dei più facili. L'uomo si mostrava ostile, seppur in cuor suo era felice di tanta attenzione, mentre la donna, ancora affaticata dalla lunga notte precedente, non riusciva ad entrare in contatto quanto avrebbe voluto.

La maggior parte delle domande sembravano andare così a vuoto, con il paziente che le aggirava, abile e leggero come un pugile che rapido si muove sui suoi piedi, e la donna che sembrava essere in cerca di nuovi punti dove andare a segno, purtroppo per lei invano.

In realtà sapeva esattamente dove colpire, ma sapeva anche benissimo quando, e sapeva che il momento non era ancora giunto. Sapeva che, sbagliando il momento, avrebbe colpito nel segno, senza però ottenere il risultato sperato, e questo sarebbe stato peggio che fallire il bersaglio.

E così aspettava, dando all'uomo l'impressione di vincere, che fosse lui a controllare il flusso, quando in realtà era lei a farlo, tracciando il cammino con delle piccole, quasi invisibili, ma comunque individuabilissime, briciole. Non sapeva con esattezza quando il momento giusto sarebbe arrivato, ma sapeva che lo avrebbe riconosciuto quando sarebbe successo, ed era quello il momento per esplorare quella parte che l'uomo stava in ogni modo cercando di evitare, in maniera sorprendentemente sottile, ma non abbastanza per lei, che di questo ne aveva fatto il suo pane quotidiano.

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Novità?

Cazzo, non siamo in un film. Almeno un pronto o un ciao potresti dirli, no?

Pronto, ciao, novità?

Non riesci più ad aspettare?

Io potrei, ma ho parlato con i suoi medici ieri...

Visto che mi chiami oggi non penso sia così urgente.

Ti volevo solo dire quel che mi hanno detto.

Dimmi pure - disse forzando il tono e cercando di nascondere che non ne aveva assolutamente voglia

Sta lavorando con una psicologa, passano quasi l'intera giornata insieme...

Se fosse un film saprei già come va a finire.

La psicologa vorrebbe vederci.

Perché?

Non ho capito con esattezza, ma parlare con noi l'aiuterebbe a farlo uscire dalla sua situazione.

Come?

Vuoi chiedermi anche dove e quando?

Forse.

...

...

Che hai?

Non voglio, non sono pronta nemmeno a questo, ma tu stavolta fallo, non voglio che tu ti senta in colpa se non lo fai.

Avevo già deciso di farlo infatti.

...

...

C'è altro?

Sì, come è andata la corsa?

Sono arrivata seconda.

Dal tono mi sa che ho capito chi ha vinto.

Esatto.

Mi spiace.

Se lo merita, è più forte.

Non c'è nessuno più forte della mia sorellina, devi solo capirlo...

Sono tante le cose che non capisco...

Io intanto ho capito che con te oggi non si può parlare, ti saluto.

Ciao.

Un abbraccio.

Anche a te.

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Quell'anno iniziò male... Mi ricordo che, dopo l'ennesimo fallimento, stavolta avevo deciso di chiudere, cercando una vita più normale...

Cosa è normale per lei?

Non l'ho mai capito, né prima né ora.

E allora cosa cercava?

Ma vuole che racconto o vuole interrompermi?

Entrambe. Ma stavolta vada avanti...

E così D'arkness continuò il suo racconto. Di come il progetto globale - promosso addirittura dall'UCI morì poi sul nascere, in una di quelle lotte di potere da cui si era sempre tenuto lontano ed in quella occasione ebbe conferma del perché -, di come rimase un anno praticamente senza contratto trovando una nuova dimensione come commentatore televisivo, ma soprattutto di come continuò ad allenarsi, giorno dopo giorno, con una rinnovata testardaggine e caparbietà.

Proprio da questi allenamenti gli arrivarono i contatti per la stagione a seguire. Il canadese - che ancora si mostrava incredulo anni dopo - raccontò infatti che la squadra con cui firmò per la stagione successiva lo contattò prima di tutto come corridore per poi tramutare il suo contratto e farlo nuovamente sedere in ammiraglia in seguito ad alcuni dissapori interni.

Ma lei voleva? - lo interrruppe di nuovo la donna

Non ci ho mai pensato, è una situazione in cui mi sono trovato ed ho agito per quello che credevo il meglio per la squadra. Come spesso mi è successo...

Ma al suo meglio ci ha pensato?

...

...

La seduta si concluse con un gioco di sguardi e di silenziose attese.

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Non ha pensato ai suoi figli accettando quel contratto?

All'epoca c'era solo Matt. E come al solito ero convinto potesse vivere la vita insieme a me. La squadra che avevo scelto non viaggiava poi così tanto, limitandosi ad uscite nei paesi limitrofi, ed ancora non era in età da obbligo scolare. Viveva con me, tutto il giorno. Ormai erano tutti abituati a vedere un seggiolone nella mia ammiraglia.

E a lui non ha pensato?

A quell'età i figli hanno bisogno soprattutto dei genitori. Uno non poteva averlo, ho sempre fatto il possibile per fare in modo che almeno uno ci fosse, sempre.

E quando se ne è andato, non ci ha pensato?

La domanda era un azzardo, lo sapeva, ma gli era uscita quasi spontanea, come se stesse parlando con un'amico, al parco, mentre i figli giocavano insieme. Lei che figli non ne aveva mai avuti, troppo bloccata dalla convenzione sociale che per avere i figli bisogna fare tante rinuncie...

Matt era ormai grande, e Ania aveva la madre. In fondo gli ho risparmiato tante cose.

D'arkness era sulla difensiva ma rimaneva aperto. L'azzardo aveva funzionato, ed ora bisognava continuare.

Quindi è stato un bene per loro? In che modo, scusi?

Non dico questo, assolutamente, ma penso ancora adesso che se fossi rimasto in quelle condizioni non avrei potuto aiutarli, come un padre dovrebbe.

Nel rispondere, il viso di D'arkness, per la prima volta da tanto tempo, cominciò a mostrare i primi segni di nervosismo. L'occhio sinistro cominciava a pulsare e tendeva a chiudersi in maniera indipendente, il pugno destro veniva ripetutamente chiuso ed il labbro inferiore insistentemente stretto tra i denti, sorprendentemente curati per un uomo che si era lasciato così andare. Ma la dottoressa non mollò.

Non ha pensato che poteva semplicemente cambiare vita?

Rinunciando al ciclismo?

Lo sta dicendo lei...

...

...

Avrei dovuto farlo prima, ormai era tardi. Le mie condizioni mi impedivano di stare in mezzo alle persone ormai, chiunque fossero.

Perché non l'ha fatto prima?

Ha mai avuto una passione dottoressa?

Certo.

Vi ha mai rinunciato?

La domanda la colpì, ma riuscì a non mostrarlo, rispondendo rapida:

Vuole dire che il ciclismo viene prima dei suoi figli?

No, voglio dire che un uomo non può rinunciare a tutto per i suoi figli, altrimenti rischia di ritrovarsi, anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, a colpevolizzarli per quello che gli anno impedito. Anche questo significa volergli bene.

Ed è questo che lei ha fatto?

D'arkness non se l'aspettava. Il sì che gli stava uscendo spontaneo, convinto e diretto si trasformò, lentamente ed inesorabilmente in un "forse", egoisticamente colpevolizzante, ma in fondo molto più vero. Si rese conto che non ci aveva mai realmente pensato, lasciandosi trascinare giorno dopo giorno dal vortice in cui era entrato...

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Una sessione dopo l'altra D'arkness aveva ormai parlato ampiamente dei suoi primi anni nel mondo del ciclismo professionistico, fino a quel fallimentare esperimento con l'UCI. Ormai era tempo di andare avanti, all'anno in cui tutto cambiò, quello in cui, anche se il mondo non lo sapeva, per lui era davvero iniziato tutto.

Il canadese, ancora in ospedale malgrado fosse passato tanto tempo, aspettava che si facesse mattina, cercando di riordinare i pensieri, su come tutto era iniziato. Cercando di mettere insieme, uno dopo l'altro gli avvenimenti, avvolto nelle fredde lenzuola che quella notte ben poco ristoro gli stavano dando. Malgrado lo sforzo di concentrazione, e la proverbiale pigrizia che attanaglia tutti noi al mattino quando è ancora praticamente buio e la luce non è altro che una debole ed indifesa chimera, alla fine dovette scendere dal letto, indirizzandosi verso il più classico degli armadi di ospedale che era appoggiato alla parete sulla sinistra, dopo la porta.

Alto, bianco e stretto, D'arkness dal primo giorno lo guardava con angoscia, come se in quelle quattro pareti di condensato ci fosse tutto il male dell'anonimato e della piccolezza dell'essere umano. Decise di non accendere nemmeno la luce, pur di non vederlo. Tanto in tutto questo tempo ormai sapeva tutto dove era con precisione da carcerato, quella del tempo che non cambia e del mondo che resta sempre uguale a se stesso, giorno dopo giorno, tramonto dopo tramonto ed alba dopo alba...

Nel muoversi nella stanza, si accorse che la luce che filtrava dalla porta socchiusa era cambiata improvvisamente appena lui si era mosso. Si girò immediatamente verso la porta, colto da un prurito improvviso, giusto in tempo per notare una figura di donna girarsi ed andare via. Convinto che fosse un'infermiera non vi diede peso, in fondo non era strano che lo venissero a controllare di notte, lo sapeva.

Quel che invece non poteva sapere è che quella donna, che poi ancora donna non era, non era un'infermiera...

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Il progetto che mi avevano proposto era interessante. Una squadra giovane, al suo primo anno nelle categorie professionistiche, senza grosse ambizioni se non quella di sopravvivere e mostrare che avevano avuto ragione a provare il grande salto.

Meno pressioni dunque?

In effetti da fuori non me ne mettevano tantissime, ma io ero comunque molto teso. Questo me lo ricordo bene.

Come mai?

Si trattava dell'ennesimo ritorno, e questa volta sentivo come se fosse la mia ultima possibilità. La squadra portoghese era forse più debole, ma era un progetto più complesso. Qui ero felice di cominciare dal basso con meno pressioni, ma sentivo comunque quel disagio... Quasi un senso di sconfitta.

Come affrontò la cosa?

Nell'unico modo che conoscevo: pedalando più forte che potevo. E facendolo fare anche ai miei ragazzi.

E per quanto riguarda la sua famiglia?

Come le ho già detto, all'epoca c'era solo Matt, ed era sempre con me. Era il suo ultimo anno prima della scuola dell'obbligo, ed avevo ferma intenzione di godermelo più che potevo.

Quindi si trasferì di nuovo in Francia?

Sì, ormai era la nazione che mi aveva sportivamente adottato, visti i già numerosi tentativi e poi era un buon posto per vivere nel mio modo. Spostamenti frequenti ma sempre facili e rapidi, era la soluzione giusta.

Ed in Francia anche la prima corsa?

Sì, non avevamo grandi possibilità economiche e, malgrado l'invito a correre anche fuori dall'Europa per iniziare la stagione, preferimmo evitare ed andare in ritiro tutti assieme e basta. Lì cominciò definitivamente l'avventura...

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