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[PCM 2010 Story] Dopo la sconfitta...


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Ultimo giorno in Canada. Giorno di laceranti saluti e di sguardi freddi.

D'arkness riuscì a trattenersi con il piccolo Matt, giocando e sorridendo con lui, senza mostrargli il suo vero stato d'animo. Il figlioletto, con quel suo sguardo così vivo e furbo, sembrò far finta di non aver capito, ma non era più così piccolo... Al momento dei saluti strinse forte il suo papà; aveva ben capito che sarebbe passato tanto tempo prima che lo avrebbe rivisto.

L'uomo dopo l'abbraccio si voltò e senza volgere lo sguardo verso coloro che ora si sarebbero occupati di suo figlio. L'anziana coppia invece non l'avevano mai perso d'occhio, con quello sguardo severo di chi sta guardando il male.

Ad aspettarlo fuori dalla casa c'era, come aveva previsto, Simon, lo zio del piccolo Matt, forse il suo migliore amico, forse non più.

Non hai intenzione di salutarmi? esordì

Sto partendo, Simon, per causa vostra. Perché dovrei salutarti?

Sai benissimo che non sono stato io.

Non sei più un ragazzino, non mi sto prendendo la colpa per tutti e due perché abbiamo rotto una bicicletta, potevi fermarli. Potevi dirgli che stavano sbagliando.

Non è così facile, dovresti saperlo...

Cosa dovrei sapere? Che, da sempre, li lasci decidere e comandare per te? Hai ragione, lo so!

Non posso abbandonarli ora. Hanno già perso una figlia...

Non puoi dargliela sempre vinta. Hai anche tu una vita, vivila!

Questa è la mia vita...

Se è questa la vita che vuoi.... Trattamelo bene, e se riesci a fare almeno questo, digli la verità.

Su cosa?

Tu digliela sempre, e non sbaglierai...

Con queste parole, senza un saluto, D'arkness scese i gradini della veranda superando il compagno di tanta vita che rimase lì, fermo, consapevole che qualsiasi cosa avrebbe detto quel giorno non l'avrebbe soddisfatto...

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  • 2 weeks later...

Il piccolo areo stava decollando fendendo la nebbia mattutina che aveva intrizzito D'arkness, poco a suo agio in quelle comode poltrone, troppo grandi e rigide. Sapeva che non era la destinazione di questo viaggio ad essere importante, ma il viaggio stesso. L'areo partiva regalandogli una nuova partenza. Poche parole gli erano bastate perché accettasse questo progetto globale, il problema ora era costruirlo: alcuni nomi li aveva in mente, e si stava proprio dirigendo da uno di loro, ma non aveva 18 corridori in mente, tutti di nazionalità diversa e appartenenti ai cinque continenti.

Un bel progetto, senza dubbio, forse il più interessante a cui avesse mai partecipato, senza problemi di fondi, strutture o organizzazione ma probabilmente anche la sfida più dura...

Per il primo corridore non c'erano problemi. Gli aveva già parlato al telefono ed aveva già accettato, si stava ora recando da lui per fargli firmare il contratto e parlare degli ultimi dettagli, ma era fatta. Classe 1989, già campione nazionale in linea del suo paese, era pronto per il grande salto, soprattutto in una squadra come la sua, dove contava soprattutto imparare e crescere.

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Primo contratto firmato. Nemmeno il tempo di festeggiare l'arrivo in squadra del suo giovanissimo compatriota e corregionale che D'arkness dovette ripartire, questa volta direzione sudamerica, dove avrebbe avuto due colloqui, ovviamente in due nazioni diverse, come da richiesta.

Il primo, corridore completo, cresciuto in mezzo alle montagne del suo paese, dilaniato da una lunga dittatura, aveva imparato ad andare in bicicletta quasi ancor prima di camminare, iniziando a lavorare da giovanissimo come corriere, ovviamente in sella. Da pochi anni, nonostante sfiorasse ormai i trenta anni, era riuscito a fare del ciclismo uno sport, e non un massacrante turno di lavoro, partecipando e facendosi notare in alcune corse in giro per il continente.

D'arkness, appena sceso dall'aeroporto, compiaciuto dalla temperatura, nonostante la latitudine e il periodo, piuttosto mite, telefonò all'atleta per prendere l'appuntamento che avrebbe potuto cambiargli la vita. I due si misero d'accordo per vedersi, poco dopo, a plaza Gabriela Mistral, nel bar di fronte alla Chiesa di Chiloé.

Il canadese, senza attendere troppo, si cambiò i vestiti, cercando di rendersi meno vistoso, e, salito in sella alla sua bicicletta che lo stava accompagnando in questa avventura, aiutato dal suo palmare, cominciò a pedalare per le strade della grande capitale.

Tutto andò come previsto, nessuno può rifiutare l'occasione della sua vita e D'arkness poté tornare verso l'aeroporto, costeggiando questa volta grandi campi di Copihue, con un secondo contratto firmato in tasca ed un secondo nome cancellato dalla lista...

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Ancora Sudamerica, ancorà povertà e miseria a fare da contorno al viaggio di D'arkness. Questa volta l'areo non poté atterrare dove avrebbe voluto e D'arkness dovette prendere il treno. E così, circondato dal vecchio e rumoroso vagone con gli interni legno, il canadese andò alla ricerca del suo terzo uomo. Poco più di un ragazzo, 22 anni ancora da compiere, ma tanto talento e tanta rabbia, come piaceva a lui.

Il suo sguardo durante il viaggio si soffermò spesso, con invidia ed ammirazione, su una ragazza, bellissima, già con il figlio al collo che, vestita di stracci, come lo era lui in quel momento, giocava con il suo piccolo con grande amore e dignità. Delle scarpe rotte e del vestito di un marrone sempre più sbiadito non le importava nulla, il suo mondo in quel momento erano lei e suo figlio, nulla di più: non aveva bisogno di altro, o perlomeno non lo dava a vedere, così bella e fiera.

Il viaggio da Caracas a Barquisimiento durò più a lungo di quanto la cartina avrebbe lasciato prevedere, ma questo a D'arkness non importava; aveva sempre amato il treno. Veder scorrere il paesaggio cullato da un rumore ormai antico, quasi rassicurante, se non fosse stato per qualche cigolio di troppo nelle ripide erte che ogni tanto si trovavano ad affrontare.

Arrivato a destinazione sapeva già come e dove andare. La sua bicicletta era con lui, i vestiti che aveva quel giorno nel deserto anche; sapeva di poter girare tranquillo, in qualche modo rinosciuto come uno di loro, per uno strano legame ancestrale che lega chi era in quelle terre prima dell'uomo bianco...

Il rosso del tramonto iniziò a riempire l'aria della città, rendendola ancora più caratteristica e speciale. Un'atmosfera che, seppur consapevole, non si aspettava di trovare così malinconica e struggente. Quando vide lo stadio dei Cardenales de Lara capì di essere quasi arrivato a destinazione. Svoltò a destra e trovò l'Hosteria Obelisco, dove avrebbe passato la note e dove aveva appuntamento con il suo futuro campione, mostratosi nella passata stagione in due corse del suo paese, la Vuelta al Tachira e quella nazionale, dove le sue caratteristiche si esaltavano.

D'arkness fece appena in tempo ad arrivare prima che iniziasse a piovere, di quelle pioggie che a queste latitudini cadono come corde infite dal cielo e che non accennano a smettere per giorni. Il suo uomo era lì, quasi un pesce fuor d'acqua, come poteva sembrare anche lui in quel momento. Il suo sguardo si rilassò quando vide arrivare il canadese, ben diverso da come se lo sarebbe aspettato - alla fine della conversazione ammetterà che con quel primo sguardo aveva già deciso di accettare.

Un'intesa, quella che si sviluppò fra i due, che partì dal primo istante in cui si sedettero a tavolino sino a quando si salutarono, dandosi appuntamento al raduno della squadra, a fine mese.

Una terza firma, quella che D'arkness ottenne, che cominciava a fargli vedere il progetto con occhi sempre meno cupi...

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L'aereo stava per atterrare ad Aldergrove, dove il vento freddo e gelido spazzava senza tregua quella terra dura. Il mare in subbuglio continuava a sbattere tenace contro gli scogli che lanciavano per aria i bianchi schizzi senza cedere e con quell'orgogliosa tenacia che ispirava da sempre gli abitanti della zona. La collina intorno alla città sembrava un gigante, sistematosi lì a protezione della città, un tempo sede di industrie navali all'avanguardia, ora solo povera ombra dei tempi che furono, scossa da un'intestina lotta religiosa che non faceva però dimenticare la povertà e le dure condizioni di lavoro a cui gli operai erano sottoposti.

Il corridore che doveva incontrare sarebbe stata la chioccia della squadra, colui che avrebbe dato la sua esperienza per il futuro, cercando di mostrarsi ancora abile per il presente. Vincitore di nove titoli nazionali, sei a cronometro e tre in linea, questo coriaceo figlio di Antrim si era costruito una carriera lontano da qui, in un altro continente, scappando il più lontano possibile dalla misera e orribile quotidianità in cui era cresciuto. Lì aveva trovato una sua dimensione, e per D'arkness sarebbe stata dura, almeno così pensava, riportarlo indietro, per riaprire vecchie ferite e renderlo uno come tanti.

In realtà questo europeo trapiantato in Asia non esitò ad accettare la proposta. Forse preso in un momento di nostaglia in queste sue vacanze trascorse in casa, forse perché ormai vicino alla fine della carriera, non diede nemmeno il tempo al canadese di spiegargli il progetto. Poche parole gli bastarono per apporre la sua firma così agognata quanto insperata.

Quattro su quattro, D'arkness cominciò a credere di potercela fare...

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Al freddo non v'era mai fine. D'arkness, dopo essersi fatto entrare nelle ossa il gelido vento dell'Irlanda del Nord, non ebbe neppur il tempo di godersi il caldo dell'aereo che dovette riatterrare. Ad accoglierlo la fredda Tallin, capitale di un paese la cui crescita economica era durata solo qualche anno, prima di ripiombare nel buio della crisi mondiale.

Un paese pieno di contraddizioni, dove la ruralità di alcune zone, fra cui quella dove si stava dirigendo, faceva da contraltare alla grande espansione delle nuove tecnologie, simboleggiato dall'enorme presenza del wi-fi e dalle invenzioni nel campo dell'informatica. D'arkness questa volta optò per la macchina, evitando di prendere il treno a quelle temperature, la cui media in quel periodo era inferiore allo zero. Il suo viaggio fu breve, erano meno di 150 km, ma il mondo gli cambiava intorno dopo ogni metro. La storia scorreva al di là dei finestrini. Le auto, le costruzioni, i vestiti fino ai volti delle persone si modificavano facendolo sentire sempre più in un'altra dimensione, seppur rassicurandolo avvicinandosi maggiormente alla sua idea del luogo, così errata nella capitale e così esatta nel piccolo paese che era sempre più vicino.

Il satellitare della macchina a noleggio lo portò esattamente fuori dalla casa del corridore da cui si stava recando, non lontano dalla statua di Johann Voldemar Jannsen che campeggiava al centro della città.

Proprio facendo leva su quell'illustre concittadino D'arkness riuscì a strappare l'accordo al suo giovane interlocutore, ex promessa del ciclismo nazionale, ma non solo, a cui non era stato rinnovato il contratto dopo essere passato professionista in Francia a poco più di 20 anni. Il ragazzo, che aveva accettato di regredire, tornando al dilettantesimo, si mostrò restio, forse intimidito alla proposta del canadese, ma cedette alle pressioni di D'arkness che seppe fare leva nel punto giusto...

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