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[PCM2009 Story] E se perdi, sai ricominciare...


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Appena sceso all'aeroporto sentì il cuore iniziare a pulsare, sempre più veloce, tanto che guardò le persone intorno a lui come per controllare se anche loro lo sentissero, cosa ovviamente impossibile come si accorse rapidamente. Il piccolo Matt si era addormentato e non poteva accorgersi di nulla, sdraiato come era nel passeggino appena montato. Al cuore impazzito si aggiunse una morsa allo stomaco, paralizzante. Capì rapidamente cos'era, come sorpreso dalle proprie emozioni. Si trattava di paura.

Paura di perdere quello che aveva, di dover rinunciare al bene più prezioso. Suo figlio. Sapeva che se fossero state rese pubbliche alcune cose del suo passato avrebbe dovuto rinunciare a tutto, a partire da suo figlio. Con lo sguardo impazzito lanciò mille occhiate intorno a sè alla ricerca di un segno della propria sconfitta. Ma per il momento sembrava tutto tranquillo. Niente lasciava presagire che la fine fosse vicina... O almeno non era per quel giorno...

Poté dunque tranquillamente prendere un taxi che lo avrebbe condotto in albergo. Trovatolo rapidamente, ebbe la fortuna di capitare con un autista piuttosto taciturno, il che lasciò libero D'arkness di ricordare...

Fu così che mentre intorno a lui la prima neve dell'anno cadeva sugli addobbi natalizi che già decoravano le vie del centro, egli vedé le immagini di quei giorni lontani, quasi dimenticati, così prepotentemente riaffiorati nel suo presente...

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Cercò di riprendersi, di scuotersi, cercando di non pensare per il momento e di godersi questi pochi giorni di tranquillità che aveva prima di iniziare la sua nuova avventura. Sapeva di avere una spada di Damocle sulla testa con la cui lama doveva destreggiarsi se voleva mantenere quel che aveva conquistato con così tanta fatica, fisica e mentale. Si era d'altro canto convinto che le minacce ricevute erano si da tenere in considerazione ma comunque non di così facile realizzazione, ciò lo aveva portato dunque ad una stoica attesa impotente. La paura sarebbe sicuramente affiorata qualche volta ma si era convinto di poterla dominare.

Si trovava dunque a passeggiare per le strade di questo antico borgo medievale, cercando di evitare le vie troppo grandi, in cui la gente cominciava a sorridere inebetita sotto le luci natalizie, preferendo per lui e suo figlio la tranquillità delle vie interne nelle quali spesso si poteva trovare qualche piccolo gioiello, fosse esso un antico palazzo oppure semplicemente il bar di quartiere con l'atmosfera a lui più congeniale.

Nel frattempo il telefono aveva suonato più volte, ed aveva avuto modo di parlare meglio con i suoi futuri datori di lavoro. Il progetto era dunque serio e di buon livello. Gli era stato persino lasciato un piccolo margine di manovra sull'organico che gli avrebbe permesso eventualmente un paio di nuovi innesti o di più se fosse riuscito, e se avesse voluto, un paio di cessioni.

Il problema principale del suo organico era la grande varietà di corse che avrebbe dovuto affrontare, non tanto come quantità, non certo esigua, ma quanto come tipologia. Per la prima volta infatti erano previste per il suo team delle corse sul pavé, disciplina nella quale non si era mai arrischiato in questi primi anni di carriera. Era felice di potersi cimentare finalmente su certi percorsi, il problema sorgeva solo nella considerazione del suo organico...

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D'arkness si stava preparando per il grande giorno. Avevano preso l'aereo la mattina direzione Nantes dove li avrebbe aspettato una macchina che li avrebbe portati nella sede della squadra dove avrebbe firmato il contratto. Nel complesso la squadra più forte che avesse mai diretto, una grande chance già di per sè, senza contare l'ampia libertà di azione e la poca richiesta di risultati lasciategli. La sede della squadra si trovava in un piccolo paese reso famoso da un romanzo storico scritto da un famoso romanziere di fantascienza.

Si accorse che stavano per arrivare quando in lontananza vide apparire la torre della città che dominava in passato le campagne circostanti. L'autista era taciturno, non sembrava nemmeno parlare francese, ma cortese e sorrideva sempre al piccolo Matt ogni volta che si incrociavano lo sguardo nello specchietto retrovisore.

Ad accoglierlo all'arrivo solo una segretaria che lo introdusse in una piccola sala d'attesa, situata nel seminterrato di una antica casa medievale nel quale l'odore di umido era ben combattuto da un'efficace pulizia costante.

Mentre era in attesa, fissando le immagini dei ciclisti che avrebbe di lì a poco avuto ai suoi ordini, sentì il telefono vibrare nella sua tasca. Avvenimento non straordinario in questo periodo, ma fu come colpito da un fulmine, mentre, con reverenziale timore, avvicinò la mano al pantalone per poter prendere il diabolico apparecchio. Il nome che apparve sullo schermo, per quanto non fosse lo stesso di qualche giorno prima, lo fece nuovamente trasalire prima di rispondere con voce leggermente emozionata:

Ciao, quanto tempo...

Tanto, troppo... Come stai?

Bene diciamo, te?

Meglio, infatti voglio riprovarci. Te la senti?

Con me? Sei sicuro sia una buona idea?

La migliore che abbia avuto da tanto tempo.

Ok, ti aspetto in Francia allora, però non ho molti soldi da darti.

Meglio, almeno non li posso spendere. A presto.

Ciao

Con la faccia attonita, lo sguardo nel passato, D'arkness rimase a fissare il telefono...

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In seguito alla firma, avvenute poche ore prima, D'arkness era già stato dirottato verso la sua prima intervista. Il quotidiano francese l'Equipe aveva raggiunto accordi con la dirigenza della squadra per un'esclusiva col canadese. L'impatto con i media di questo annuncio, perlomeno in Francia, avrebbe certamente avuto grande impatto visti i precedenti di D'arkness nel paese e l'importanza della squadra in questione.

Jonathan non era entusiasta all'idea, soprattutto perchè ancora non aveva bene le idee chiare, ma la dirigenza fu irremovibile. L'intervista s'aveva da fare. D'arkness si presentò dunque all'appuntamento con il suo solito vestiario casuale, molto informale, portandosi appresso il piccolo Matt.

....

Terminata l'intervista, che sarebbe stata pubblicata il giorno seguente, D'arkness decise di riposarsi, dirigendosi verso quella che sarebbe stata la sua casa per almeno il prossimo anno, anche se con forti intervalli. La trovò piuttosto piccola e poco accogliente, con il suo mobilio vintage scadente che rendeva triste ed asettico ogni ambiente. Unico punto a favore della casa era un piccolo giardino con veranda dove era già certo che avrebbe passato parecchio tempo. Matti invece si trovò piuttosto spaesato in questa nuova abitazione, tanto da pretendere di dormire nel letto col padre, "almeno questa notte".

Con il piccolo sdraiato praticamente su di lui D'arkness iniziò a pensare al ritorno che aveva fra le mani. Certamente non così clamoroso come quello di Armstrong, almeno per il mondo ciclistico, ma per lui, come uomo e come DS, lo era molto di più. Con lui tornava a correre un amico, a cui aveva dato tanto ma a cui doveva ancora di più...

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La sua ultima notte da disoccupato, per certi versi, visto che ancora non era pubblico il suo ritorno, sembrava non passare mai... Il piccolo Matt era crollato subito, la benefica presenza del padre lo aveva aiutato a cadere presto fra le braccia di Morfeo. Discorso diverso per Jonathan che iniziava a sentire l'adrenalina salire nel suo corpo.

Tornava a dirigere una squadra, ufficialmente anche in sella ma non aveva intenzione di correre molto, anzi. Se da un lato non aveva la pressione del risultato addosso, l'ansia della buona prestazione in quel momento lo attanagliava, riempiendolo di dubbi. E lui fissava le stelle, faro nella vita di tante persone nel corso dei secoli, sperava potessero donare un pò di luce alla sua strada almeno per una notte.

Ovviamente nelle stelle non trovò nulla, come non lo aiutò osservare il misterioso volo di un gufo che si aggirava intorno alla sua finestra, ma nel silenzio di quella sua notturna osservazione, immagini di un passato, anche se per poco, felice riuscirono a rischiarare un poco il buio che si portava dentro.

I pindarici voli della sua mente lo portarono a quella donna, cameriera di una bettola portoghese, che riuscì a rinfrancarlo più volte durante la scorsa stagione, dandogli anche l'illusione di poter avere una vita normale in seno a questo mondo. Quella donna gli rimase davvero dentro, come solo le persone che sanno darti un cazzotto possono fare. Lei glielo aveva dato, dritto e forte, nel punto giusto. E da quel momento tutto era andato bene, la colpa non era stata di quella donna se poi la squadra era fallita, lasciandolo senza lavoro, lui e i suoi ragazzi. Gente che non meritava di fare quella fine, anche perchè, se qualcuno aveva trovato contratto, a molti era andata male ed erano dovuti tornare alla vita normale, extra sportiva, dovendo rinunciare ad un sogno. E questo non è mai bello...

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